Prandelli, strano derby tra i viola e i parmensi

Con la sua Fiorentina affronta il suo "ex" Parma. Da Frey a Donadel, da Gilardino e Mutu ai suoi collaboratori. In campo e nello staff tecnico gli uomini chiave sono ex del Parma

Prandelli, strano derby 
tra i viola e i parmensi

A voce bassa, senza battere i pugni sul tavolo per imporsi sul ds Pantaleo Corvino, però Cesare Prandelli si è costruito di persona la Fiorentina che punta alla quinta Champions League consecutiva (le prime due saltarono per penalizzazioni da calciopoli) e avvicina il passaggio agli ottavi di questa edizione. Da Parma si è portato in Toscana, piano piano, nove compagni di viaggio. Gente di cui ha stima più tecnica che umana, non è come Mazzone che si portava in giro per le salvezze i suoi figliocci (Bisoli, Petruzzi, Berretta, Cappioli, Succi), soprattutto per controllare lo spogliatoio.

La carriera di Prandelli è svoltata nel 2002, quando il dt Arrigo Sacchi lo chiamò per rilanciare il Parma, vincitore della Coppa Italia (ultimo di 8 trofei) con Gedeone Carmignani, che però traguardò la salvezza solo alla penultima giornata, con una squadra eliminata al preliminare di Champions. Furono le ultime stagioni in cui i gialloblù si batterono per l'Europa, non per la sopravvivenza.

«A Parma - racconta l'allenatore viola - ho vissuto due anni molto belli dal punto di vista professionale e non solo». Bojinov l’ha consigliato lui, a Firenze arrivò nel gennaio 2005, pagato 15 milioni, 8 gol in 36 partite, in una stagione e mezza. Il bulgaro venne frenato da un infortunio, pagò la consacrazione di Toni, finì fuori rosa per avere contestato Prandelli e la società, ripartì dalla Juve in B. Al Manchester City 2 reti e basta, per un grave infortunio: a 23 anni 3 gol pesanti per Guidolin, fra lo scetticismo iniziale. «Valeri è sempre stato un ragazzo spontaneo - ricorda Prandelli -, qui aveva addosso pressioni e responsabilità grandi. Abbiamo parlato molto».

Il mister dal canto suo lasciò la città ducale nel 2004, per allenare la Roma, diede le dimissioni alla vigilia del campionato per stare vicino alla moglie Manuela, malata. Riprese da Firenze, con il suo staff parmigiano: il vice Gabriele Pin, regista dell'ultimo Parma di Scala, i preparatori Venturati e Casellato (atletici) e Di Palma (dei portieri). Donadel era arrivato sei mesi prima di lui.

Dopo Prandelli il Parma si salvò allo spareggio, vincendo a Bologna, di nuovo con Carmignani, il tecnico bresciano portò subito via il capitano, Sebastian Frey: «Lo vedo seriamente motivato a fare ancora meglio», le parole di ieri. Nell'estate 2006 pigliò Adrian Mutu ai saldi, alla Juve con Capello non aveva sfondato (8 gol in un anno e mezzo), in viola 46 reti in 3 stagioni e una marea di assist: il record di segnature il romeno l'aveva piazzato a Parma (18), nel primo anno prandelliano. Oggi è infortunato, al pari di Jovetic: «Mutu ha cambiato ruolo - spiega il suo mentore - e a 30 anni vi assicuro che non è facile».

Nel gennaio 2007 il parere dell'allenatore gentiluomo fu chiave per il Parma, evitò che finisse all'asta, con rischio di fallimento. «Credimi Tommaso - pregò Ghirardi -, Collecchio è il posto ideale in cui fare calcio. Se vuoi entrare a grandi livelli, lascia il Carpenedolo e la C2, vai là». «Sono molto amico del presidente - ha confermato ieri -, ci stiamo punzecchiando già da un po': ha una grande squadra e contro di noi partono favoriti». Addirittura.

Se un difetto ha, Prandelli, è di esagerare nei complimenti agli avversari, sembra sempre che tutti siano più forti della sua squadra, così fa lievitare il valore delle sue vittorie. Con la maglia crociata Gilardino segnò 50 reti, 27 con Cesare. Nel triennio al Milan si fermò a 36, a Firenze è risalito, sono 23 in 14 mesi, protagonista anche in Champions. «Vedete tutto quello che sta facendo...». Discorso che vale pure per Marchionni, rivelatosi a Parma, inesploso alla Juve e rilanciato dal "Prando". Ha ragione Xavi (Barcellona): «La Fiorentina è una delle squadre con il gioco migliore della Champions». «Per me il calcio è costruire qualcosa in più dell'avversario - riflette il mister -.

La cultura italiana è solo fare risultato, io faccio capire alla squadra che si può vincere giocando bene». Come Sacchi, passato da Parma alla nazionale. Vedrete che ci arriverà anche Cesare. Magari in tempo per portare anche lì Gilardino e Marchionni.

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