Milano - Il pragmatismo e il senso della realtà di Maurizio Prato, presidente di Alitalia, si riassumono in questa frase: «Alitalia è in uno stato comatoso. Si trova in camera di rianimazione e mi sorprende molto il pressochè generale rifiuto di prendere coscienza della realtà». Prato è stato ascoltato ieri dai senatori della Commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama (che ha competenza anche sui trasporti) e ha fatto un punto drammatico sullo stato della compagnia, senza creare alcuna illusione.
In breve: Alitalia necessita di una forte alleanza internazionale, perchè da sola non può stare sul mercato nè tantomeno alimentare due aeroporti hub; il piano industriale non è di rilancio, ma di pura sopravvivenza; entro il 2010 la società si troverà a dover rimborsare un miliardo di euro di prestito obbligazionario, senza poter far fronte con proventi generati dalla gestione; le perdite del 2008 saranno all’incirca di 400 milioni (un puro calcolo aritmetico sulla base dei dati semestrali, ha precisato in serata l’azienda su richiesta della Consob), le ricadute sull’occupazione saranno concordate con le organizzazioni sindacali. Alitalia ha inviato, proprio ieri, a tutte le sigle sindacali una lettera con cui si preannuncia la disdetta del contratto di lavoro per tutte le categorie in scadenza il prossimo del 31 dicembre.
Entro il 10 ottobre - ha poi annunciato Prato - sarà individuata una «shot list» di potenziali acquirenti, e la fase successiva, quella del confronto con gli interessati, si protrarrà presumibilmente fino alla metà di novembre. Prato ha detto di essersi rivolto alle principali compagnie europee, del Nord America, degli Emirati e a tutti i partecipanti alla gara. «Inoltre abbiamo ascoltato tutti quelli che lo hanno richiesto». «Si potrebbe pensare all’ennesimo tentativo di un posizionamento autonomo, che a mio avviso sarebbe velleitario - ha detto Prato - e porterebbe a una progressiva marginalizzazione della compagnia. Si potrà anche essere un po’ più grandi, ma mai in grado di competere con i tre grandi vettori europei», Air France-Klm, British, e Lufthansa.
Nessuna illusione, insomma. «Pensare che Alitalia possa ricominciare da capo, come è avvenuto in passato, con altri interventi e risorse finanziare dello Stato è impercorribile», ha detto facendo riferimenti alle diverse ricapitalizzazioni che si sono succedute in passato, e all’ultima avvenuta a fine 2005. Per Prato, «il difetto» dei diversi tentativi di salvataggio è stato proprio quello di essere «interventi di natura solo finanziaria». E si è creduto di risolvere i problemi di Alitalia «chiedendo la testa dell’amministratore delegato per ricominciare da capo ogni volta».
Prato ha anche detto che «l’aumento di capitale è necessario». L’auspicio è «che possa avvenire in nesso con la modifica dell’azionariato». Una battuta anche per Aeroflot, che l’altro ieri ha parlato di un’offerta da un miliardo di dollari: «Non bastano 700 milioni di euro per rilevare la quota del Tesoro - ha precisato Prato -. Noi pensiamo che valga un po’ di più».
La scelta di lasciare Malpensa - contenuta nel piano industriale - non ha alternative. «Un’azienda sana» non avrebbe deciso così, ma «non è il caso di Alitalia: è una scelta obbligata» rivedere il ruolo dell’aeroporto di Malpensa e tagliare linee intercontinentali in forte perdita, come le rotte per «Cina e India» che bruciano «tra 20 e 30 milioni l’anno». È vero che i voli intercontinentali partono da Malpensa pieni, dice Prato, riferendosi alle obiezioni del presidente della Regione Lombardia.
«Ma Formigoni forse non sa - ha aggiunto il presidente di Alitalia - che per portare i passeggeri a imbarcarsi a Malpensa la compagnia sostiene «perdite tra 150 e 200 milioni l’anno».Sulle casse esauste di Alitalia incombono i bond: 320 milioni da rimborsare tra il 2008 e il 2009 e 714 nel luglio 2010. Con le proprie finanze non potrà farcela.
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