La Chiesa cattolica ha sempre dettato preghiere per le più disparate necessità: per la pace, per l’unità dei cristiani, per le vocazioni sacerdotali, per la guarigione fisica, per la guarigione interiore, per i defunti, per la famiglia, per i fidanzati e gli sposi, per le donne in gravidanza, per la semina e il raccolto (le rogazioni), per la pioggia, per la liberazione dal maligno (con l’intercessione degli arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele), per la conversione degli ebrei («i perfidi giudei» fino al pontificato di Giovanni XXIII), per l’Italia e per l’Europa (orazioni composte da Giovanni Paolo II). Tutto regolare. Lo aveva consigliato il Fondatore: «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (Giovanni 16, 23). Qualunque cosa? In teoria sì. Però la preghiera per il passaggio dall’analogico al digitale terrestre non s’era mai sentita. Diciamolo pure: non ce la saremmo proprio aspettata. Vabbè che delle tre persone divine della Santissima Trinità l’ultima è senz’altro quella più soggetta al moto discensionale nell’etere, come ci ricorda ogni anno la Pentecoste. Ma che c’entrerà la fede con prosaiche vicende di ripetitori, antenne, decoder, canali, segnali, bande, piani frequenze, efficienze spettrali, alte definizioni? E invece eccola qui la Preghiera allo Spirito Santo per Telepace e il Digitale Terrestre , stampata in quadricromia su un santino a due ante. Roba seria, niente di estemporaneo: porta addirittura l’autografo del vescovo di Verona che ha accordato l’imprimatur. Del resto sua eccellenza Giuseppe Zenti ha un debole per gli spazi interstellari, essendosi di recente provato, senza successo, a convertire l’astrofisica atea Margherita Hack durante un pubblico dibattito. Sulla prima facciata, la Colomba del Bernini che diffonde raggi d’oro e di fuoco sopra la cattedra di San Pietro e un’invocazione che suona come un imperativo: «Vieni, Spirito Santo, e salva Telepace». All’interno, sei suppliche accorate. Quelle decisive sono la seconda («O Spirito Santo, ti preghiamo per Telepace e i suoi satelliti »), la terza («O Spirito Santo, ti supplichiamo per il digitale terrestre») e la sesta («O Spirito Santo, Sposo di Maria, Stella dell’Evangelizzazione, confortaci in quest’ora di grande apprensione, ma anche di tanta speranza. Consolaci, sostienici, salvaci. Amen»). «Salvaci»? Dopo averle lette, si è colti da angosciosi interrogativi. Chi ha deciso di uccidere Telepace, «la Tv del Papa», casa madre a Cerna, sui monti Lessini, sedi a Roma, Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, famosa per aver intervistato capi di Stato (Gorbaciov, Walesa, Peres, Arafat, De Klerk, Mandela, Cardoso, Menem, Havel, Cossiga, Ciampi), first lady (Laura Bush), primi ministri (Rabin, Kohl, Amato, Berlusconi), segretari generali dell’Onu (Ghali, Annan), imprenditori (Agnelli)? Perché Paolo Romani, viceministro con delega alle comunicazioni, non fa qualcosa per evitare che il passaggio al digitale terrestre spenga l’emittente televisiva incaricata da 32 anni di seguire il Pontefice in giro per il mondo? Come mai l’ultima facciata del santino raccomanda, manco fosse una medicina, «Preghiera allo Spirito Santo, da recitare possibilmente ogni giorno, per il passaggio di Telepace al Digitale Terrestre», scritto con le maiuscole, quasi che si trattasse d’un anticipo di paradiso? Per quale motivo vogliono impedirle questo passaggio? L’hanno forse esclusa dal piano frequenze? Rapida indagine. Per scoprire da Luigi Vinco, direttore di Telenuovo, il network regionale col maggior numero di giornalisti professionisti, che sì, è vero che nel Nordest un po’ di maretta sul digitale terrestre c’è (probabile slittamento a fine dicembre dello switch-off preventivato per il periodo 21 ottobre-25 novembre, minacce di ricorsi al Tar), ma legata soltanto al fatto che l’assegnazione delle frequenze deve essere compatibile con quella nei Paesi dell’ex Jugoslavia: «Nelle regioni costiere il segnale “sparato” troppo forte potrebbe sconfinare. Però frequenze ce ne sono per tutti, anche per le televisioni più piccole, anzi ogni frequenza dispone di ben 6 segnali ». Quindi non si capisce di che cosa abbia paura Telepace (peraltro presente anche sul canale 802 di Sky), al punto da appellarsi allo Spirito Santo. Tanto più che a Roma dal giugno 2009 trasmette già in digitale terrestre. Per svelare l’arcano non resta che rivolgersi direttamente a don Guido Todeschini, 73 anni, prete da 49, giornalista da 35, fondatore e direttore dell’emittente cattolica, nonché redentore di carcerati fra Italia e Stati Uniti: da Pietro Maso, il massacratore di Montecchia di Crosara, a Marco Furlan, uno del duo Ludwig, fino agli sconosciuti Ivan Ray Murphy e Bryan Eric Solfe, giustiziati nel braccio della morte di Huntsville. «Frequenze? Che frequenze? Non è mica quello il motivo per cui imploriamo lo Spirito Santo di salvare Telepace ». Ah no, e qual è allora? «Ma lei lo sa che per passare al digitale terrestre occorrono 2 milioni e mezzo di euro? Dobbiamo buttar via tutte le apparecchiature, tutte, anche l’ultima acquistata appena due mesi fa, che è costata 50.000 euro! In-ser-vi-bi-li. Incompatibili col digitale terrestre. Ferro vecchio». Ed era proprio indispensabile tirare in ballo lo Spirito Santo per così poco? «E me lo chiede? Già spendiamo 900.000 euro l’anno di affitto per i tre satelliti che ci permettono di trasmettere dagli Usa fino all’Australia. Ora si aggiunge questa nuova mazzata. Se non ci salva lo Spirito Santo, chi altro?». Il lato più sorprendente della faccenda è che la Colomba pare aver subito dispiegato le ali sulla televisione moritura: «Proprio in questo momento sono uscite dal mio ufficio due persone che mi hanno portato una fetta per il digitale terrestre». Una fetta? «Una fetta di pane». Una volta li chiamava «segni». Poi «gocce ». L’importante è sempre stato non pronunciare la parola innominabile: soldi. Ora la circonlocuzione per raggranellare offerte è uscita croccante dal forno, vedere la quinta supplica del santino: «O Spirito Santo, fa’ che sulla mensa di Telepace non venga mai a mancare il pane quotidiano necessario». Però bisogna capirlo, il povero don Guido. La sua Tv per statuto non può mandare in onda la pubblicità. Perciò ha sempre respinto tutte le richieste arrivate dai potenziali inserzionisti, alcuni con le spalle grosse, come Trenitalia e Telecom. «Viviamo solo di carità.Madre Teresa di Calcutta mi disse: “ Don Guido, o si lavora per qualcosa o si lavora per Qualcuno”, con la “q” maiuscola. Telepace deve fare i conti con quello che non ha. Non ha niente. Anzi no, ha tanti debiti. E per vivere le servono ogni giorno circa 15.000 euro. Quindi non le resta che affidarsi allo Spirito Santo». Con le cause impossibili, d’altronde, don Todeschini ha una certa consuetudine. Adriana Malacchini, moglie di Dino Serpelloni, il responsabile tecnico di Telepace, vent’anni fa guarì inspiegabilmente da un tumore alla terza recidiva, resistente alla chemioterapia e complicato da un’epatite, dopo essere stata ricevuta in udienza privata da Papa Wojtyla grazie ai buoni uffici del datore di lavoro di suo marito. Resta il fatto che in epoche più serie di quella presente lo Spirito Santo s’invocava appunto per cose più serie, a esempio per le sorti della neonata Repubblica italiana, come ebbe modo di raccontarmi il compianto Jader Jacobelli. Era l’11 marzo 1947 e il futuro moderatore delle tribune politiche esordiva in Rai con Oggi a Montecitorio , resoconto radiofonico serale dei lavori della Costituente. Chiese a Benedetto Croce copia del discorso che l’anziano filosofo aveva pronunciato sulla Costituzione. «Non ce l’ho qua con me», si sentì rispondere, «ma la prego di citare testualmente il Veni, creator Spiritus che ho recitato in assemblea». Emozionatissimo, Jacobelli obbedì. La conclusione di Croce, campione di laicità sensibile alle tematiche religiose, era questa: «Io vorrei chiudere il mio discorso, con licenza degli amici democristiani dei quali non intendo usurpare la parte, raccogliendo tutti quanti qui siamo a intonare le parole dell’inno sublime: “Veni, creator Spiritus. Mentes tuorum visita. Accende lumen sensibus. Infunde amorem cordibus”». Un pittoresco socialista, Tommaso Tonello, che in aula s’era appisolato, udita la trasmissione aggredì Jacobelli in Transatlantico: «Come osa, pretaccio, infiorare le cronache parlamentari con canti di sagrestia?». Chiarito l’equivoco, a momenti Tonello cadeva in ginocchio. Bei tempi quando c’era solo la radio. Ora è ben vero che la televisione è diventata il dio della modernità. Ma a maggior ragione converrebbe mantenere la giusta distanza fra il Paraclito e il Palinsesto.
Invochiamo lo Spirito Santo - chi ci crede - perché comincino a farlo i preti per primi. Magari con l’intercessione di una figura cara a don Todeschini: la Madonna dell’Equilibrio.Stefano Lorenzetto
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