Caserta - Non ci aveva pensato. Romano Prodi prende per buono il suggerimento del Giornale: approfittare del conclave dei ministri alla Reggia di Caserta per scoprire il famoso mandante dell'emendamento salva-sindaci infilato nella Finanziaria. Non ci riuscirà, naturalmente. «Chiederlo ai ministri si può - risponde -, anche se mi pare ingenuo che qualcuno mi risponda “sono stato io...”». Di Pietro potrebbe aiutarlo. «Ma mi pare improbabile che sia stato un ministro, queste cose hanno andamenti più tortuosi. Però non ho mica rinunciato, sto facendo il possibile per scoprirlo, mi darebbe molto gusto...».
Dove c'è gusto non c'è perdenza, si dice da queste parti, nella (ex) terra felix messa a soqquadro dai traffici della camorra e ora, per due giorni, anche dalla carovana ministeriale al gran completo. Cittadina in tilt, striscioni di contestatori (qualche pomodoro era volato in mattinata anche nel metrò di Mergellina), organizzazione impeccabilmente arguta, visto che in un angolo della sterminata Reggia borbonica sono stati relegati i giornalisti, mentre il summit vero e proprio si tiene in una dépendance dall’altra parte della strada. Le distanze dilatano le notizie, fino a farne echi lontane di una coalizione che qui cerca se stessa. Altrimenti non si va da nessuna parte, come ha avuto modo di sfogarsi Prodi con i suoi. Anzi: «Contrapponendo questi discorsi fra riformismo e radicalismo, non andiamo assolutamente lontano», dice esplicitamente nel summit, con chiaro riferimento a Fassino e Rutelli.
«Non siamo padroni di niente, questo è il guaio», si era lamentato qualche suo collaboratore. Ma è vero che l'idea fassinian-rutelliana di fare di questo summit una parata di annunci di «cose concrete» che lanciassero la «fase due» è già morta e sepolta. Prodi si riappropria di quel poco che ha, ovvero di un vertice che serve piuttosto a dilatare la comunicazione al Paese, per rendere noto che la coalizione, nonostante tutto, esiste ancora. Grazie a un asse che tiene saldamente, con D'Alema e Rifondazione. «Altrimenti si va tutti a casa». Prodi ripete chiaro e tondo che «bisogna ripartire al programma» e punta molto, anche nel breve incontro con i giornalisti, all'«etica di coalizione».
Un richiamo che a tratti assume il sapore di uno sfogo. «La nostra coalizione si è presentata spesso come una cacofonia, perché nella comunicazione ciascuna delle componenti ha accentuato o spesso è stata costretta ad accentuare gli elementi identitari...», comincia. E poi affonda con il «problema forte: la nostra coalizione rischia di entrare in una spirale perversa e nella quale appare capace solo di prendere decisioni impopolari...». Il premier cerca di essere costruttivo, però si capisce che ne ha anche le scatole piene, quando passa a un forte richiamo all'etica. Dobbiamo sembrare un governo serio, spiega, che lavora per il Paese, «anche se questo può implicare sacrifici o rinunce da parte di ciascuno di noi». Entra nel merito, e sembra un avvertimento a qualcuno dei presenti, quando «supplica» di nominare soltanto persone che abbiano «meriti professionali». O quando specifica di riferirsi anche ai «costi della politica e dei privilegi da abbattere».
Archiviato il «virtuale e pretestuoso dibattito tra radicalismo e conservatorismo, tra innovazione e riforme», il resto delle priorità è nel programma, già elencato nella conferenza di fine anno. Di liberalizzazioni non si parla e il rilancio di Bersani viene bloccato dalla Lanzillotta (Margherita): «Niente strappi, per favore». Ne parla invece il verde Pecoraro Scanio, raggiante anche perché il discorso del premier è partito dal protocollo di Kyoto. «I Pacs sono una liberalizzazione, perché è la libertà della convivenza. Liberalizzazione è quella che proponiamo per l'uso del software, o quella dell'agricoltore che vuole utilizzare come carburante l'olio di colza... perché mai dovrebbe pagare le accise? Altrimenti qui passa l'idea che le liberalizzazioni siano soltanto quelle che favoriscono qualche grossa industria». Più tardi sarà aspro lo scontro con il collega Di Pietro, che insiste per la Tav. «Basta con queste pressioni - si sfoga il leader verde -. I tecnici devono essere indipendenti...».
E Fassino? Il leader ds si adegua: trangugiata e fatta propria la pace con Rifondazione, parla del rapporto con la sinistra radicale come centrale nella coalizione. Mutata anche l'idea del riformismo, che «deve unire equità e innovazione». La bandiera del «riformismo o morte» è rimasta sulla carta di qualche intervista di giornale.
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