«L'Italia continua a rivestire oggi, nei confronti dellalleato americano, quello stesso fondamentale ruolo di mediazione che aveva nel corso della Guerra Fredda, ovvero di ponte verso il Medio Oriente e lAfrica, quando non di «portaerei». E oggi, addirittura, queste nostre caratteristiche vengono semmai accresciute proprio grazie alla personalità di Silvio Berlusconi».
Piero Ostellino, direttore del Corriere della Sera dal 1984 al 1987, prima ancora corrispondente da Mosca, e ieri come oggi un inguaribile grande liberale, come conferma il titolo stesso del suo ultimo libro, Lo Stato canaglia, non esita a smontare i presunti «limiti» che qualcuno ha voluto andare a trovare nella prima visita ufficiale del premier alla Casa Bianca sotto la presidenza di Barack Obama.
Niente limiti, quindi? Soltanto le solite polemiche di parte contro il Cavaliere?
«Certo. Lunico limite che si può attribuire a questo incontro non è riconducibile alla figura del nostro attuale presidente del Consiglio, e nemmeno alla sua collocazione politica, ma unicamente al peso che lItalia oggettivamente riveste nello scenario internazionale, a quello che è il suo oggettivo valore intrinseco. Nel senso che il nostro Paese non è mai stato ieri, non è oggi e mai potrà essere considerato domani alla stessa stregua di nazioni come Francia, Germania o Gran Bretagna. Togliamocelo dalla testa».
E perché lei dice che il ruolo di mediazione è oggi accresciuto proprio grazie a Berlusconi?
«Per la sua intrinseca personalità, per quel suo essere un uomo di straordinarie capacità relazionali. Prendiamo per esempio il complesso di relazioni che il Cavaliere ha saputo tessere con Vladimir Putin. Oggi quello è un patrimonio utilissismo allAmerica stessa, proprio per via della sua storia passata di Grande potenza contrapposta allex Urss. E questo nostro punto di forza potrà essere molto utile a migliorare il dialogo tra Washington e Mosca».
Invece in Italia qualcuno aveva visto nei rapporti stretti con Putin un potenziale motivo di imbarazzo con la Casa Bianca.
«Ma nemmeno per sogno! Noi, proprio in quanto potenza media, siamo in grado di fare per conto degli Usa ciò che gli Usa non potrebbero invece chiedere a una potenza come Francia, Germania o Gran Bretagna. Vorrei piuttosto fare un paragone storico, se me lo consente».
Prego.
«Il paragone è che oggi, su questo scenario, il ruolo di Berlusconi e del nostro Paese ricorda molto quello - e fu straordinario - esercitato dal Conte di Cavour facendo giocare appunto lItalia in posizione di forza tra le grandi potenze dell'epoca. Favorendo allo stesso tempo, proprio grazie a quel ruolo, il nostro processo di unificazione nazionale».
Come le è apparso invece lincontro sotto il profilo di quello che è stato il lessico parlato e al tempo stesso il linguaggio degli sguardi? In diplomazia contano anche quelli.
«Forse, sotto questo punto di vista Berlusconi può essere apparso un po intimidito dalla personalità di Obama. Non tanto dalla personalità in se stessa del presidente americano, o dal suo ruolo, quanto probabilmente dal fatto che al di là del ricorso agli interpreti, se due persone non hanno completa familiarità con la lingua dellaltro, tra loro rimane comunque una barriera. Se Obama fosse stato di lingua francese, Berlusconi sarebbe stato indiscutibilmente a proprio agio».
Ma con George W. Bush era diverso...
«Perché era diverso Bush, ovvero un texano, un uomo di impasto più popolare.
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