Già mi immagino le ghignate inglesi. Il primo ministro della Repubblica d’Irlanda ne ha fatta una che soltanto gli irlandesi nelle barzellette possono fare. Dunque Brian Cowen è un tipo bello rotondo nel fisico, cilindrata tipica della sua terra bellissima e dolcissima. Il 17 di marzo è il giorno di San Patrizio, patrono dell’isola; non provatevi a contare tutti i Paddy, Patrick e simili tra Dublino e dintorni perché sareste colti da torpore lento e inesorabile. Brian Cowen ha celebrato la festa nazionale in terra straniera, a Washington, nella Casa Bianca degli americani. Gli Stati Uniti hanno sangue e sudore e lacrime del popolo d’Irlanda che qui trasferì i propri sogni, la propria avventura. Barack Obama ha indossato per la bisogna una cravatta verde, colore della Repubblica d’Irlanda, ha abbracciato il Taoiseach, il primo ministro, ha dedicato a lui e alla sua gente parole di affetto e di gratitudine poi ha ceduto, dal podio, la parola e il microfono al collega.
Brian Cowen si è sistemato la cravatta, ha strizzato leggermente gli occhi per leggere quello che il gobbo elettronico dirimpetto gli stava suggerendo e ha incominciato a dire. Una parola dietro l’altra, con l’enfasi e il tono necessari, ma qui Cowen ha percepito un attimo di perplessità tra gli astanti e in sé medesimo. Non erano quelle le parole che lui pensava di pronunciare, non facevano parte di nessun messaggio né alla nazione amica, né ai propri immigrati sul suolo americano. Cinque, dieci, venti secondi e Brian Cowen si è fermato, tirandosi indietro, cercando lo sguardo di Obama: «Ma questo è il tuo discorso!», sì, proprio così, aveva ripetuto paro paro quello che aveva appena detto il padrone di casa rivolto all’ospite. Scherzi del computer e del protocollo, finiti i tempi in cui si andava a braccio, senza copione, pensieri sparsi e parole libere. Le nuove tecnologie sono capaci di fregature colossali.
Barack Obama ha capito che era il momento di intervenire: «yes I can» deve aver pensato e agito, ha ripreso dunque la parola e si è ringraziato da solo, come se toccasse a lui il ruolo dell’invitato, scherzando sulla gaffe non del collega ma di quello sbadato tecnico del computer. Cowen si è reso conto che the class is not water, la classe non è acqua come diciamo noi del vecchio continente, e ha ringraziato per la cortesia diplomatica.
Le topiche dei politici fanno sempre il giro del mondo un secondo dopo l’accaduto. Da non trascurare il primo ministro di Spagna che ha confuso un verbo con un altro. Zapatero, rivolgendosi a Medvedev, si è impegnato ad appoggiare ogni iniziativa con il turismo della Russia ma ha sostituito il verbo «apoyar» con il più esplicito «follar» che sarebbe, gentilmente, fare sesso. Qui non c’entrava il gobbo elettronico, non c’è stato scambio di discorsi ma, forse, si è trattato di un lapsus freudiano.
Brian Cowen se l’è cavata con molto meno, grazie a Obama. Qualche anno fa un personaggio politico dell’Est aveva preparato un breve discorso, nella nostra lingua di cui conosceva pochissime parole, ripetendolo per cento volte, a bassa voce sull’aereo che lo portava in Italia: «Messo piede sul vostro Paese non posso che essere orgoglioso e spedisco un messaggio di pace e di affetto a tutti gli italiani».
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