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Il premier: «Gheddafi non ha armi per colpirci»

nostro inviato a Parigi

Cauto, diplomatico, ma anche fermo e in linea con le decisioni prese dal cosiddetto «gruppo dei volenterosi». Berlusconi, al tavolo dei grandi riunitisi a Parigi per trovare una strategia comune per il caso Libia, sottoscrive il via libera all’intervento militare della comunità internazionale, seppur con qualche prudenza in più rispetto a Francia, Gran Bretagna e Usa. «L’Italia per il momento mette a disposizione le sue basi - spiega in un briefing con la stampa nella sede della nostra ambasciata al termine del summit all’Eliseo - E solo successivamente potremmo intervenire con i nostri mezzi militari alle operazioni militari».
Insomma, basi sì. Raid no. Ma soltanto per ora. In sostanza il premier ha fatto pesare il ruolo centrale del nostro Paese in termini geostrategici per non entrare direttamente nella mischia. Noi faremo da trampolino di lancio per le prime azioni militari e solo in un secondo momento potremmo entrare in campo con la nostra flotta aerea e navale. Un’ipotesi che il premier non si augura: «Non credo che ci saranno particolari esigenze e credo che i mezzi di Francia, Inghilterra e altri Paesi siano sufficienti». Ma il dilemma resta su quanto potrà durare la cosiddetta operazione «Salviamo Bengasi». Naturalmente il Cavaliere spera che le prime avvisaglie di una guerra - già evidenti prima ancora che il summit dell’Eliseo iniziasse, nel primo pomeriggio - costituiscano un deterrente sufficiente per costringere Gheddafi a sventolare bandiera bianca. «Tutta la comunità internazionale pensa sia difficile che un regime che dura da 41 anni possa continuare anche dopo quello che è successo». Ma il Colonnello non sembra affatto intenzionato a gettare la spugna e, qualora la situazione precipitasse, anche il nostro ruolo potrebbe mutare. E allora anche i nostri aerei potrebbero alzarsi in volo.
Con quali pericoli? Il premier minimizza: «Vorrei tranquillizzare i nostri connazionali - dice - Le nostre forze armate hanno fatto un esame approfondito delle armi e dei missili a disposizione del regime libico e la conclusione è che non ci sono in questo momento armi in dotazione al regime che possano raggiungere il territorio italiano». Scongiurata, quindi, l’ipotesi che possa ripetersi l’episodio del 1986 quando Tripoli lanciò dei missili contro Lampedusa. Ma a preoccupare il capo del governo, più che una rappresaglia militare, è il rischio che le nostre coste vengano prese d’assalto da fiumi di profughi. In quel caso servirà l’aiuto della comunità internazionale tutta, che è bene non ostacolare mettendosi di traverso sulle delicate decisioni da prendere in queste ore, anche in termini bellici.
E poi c’è anche l’esigenza di non lasciare completamente a Parigi il ruolo di regista delle operazioni che poi potrebbero pesare nel dopo-Gheddafi. Il Cavaliere comunque, forte del fatto che geograficamente l’Italia resta strategica, ha anche suggerito che il coordinamento delle operazioni belliche avvenga attraverso la Nato: «Ne ho parlato con il segretario di Stato Usa Hillary Clinton e con il premier britannico David Cameron - spiega il premier - che hanno espresso il loro apprezzamento. E credo proprio che sarà la base Nato di Napoli la sede del coordinamento delle operazioni».


Una linea attendista, quella di Berlusconi, che ottiene il placet anche del Quirinale: «Terminata la riunione ho chiamato il capo dello Stato e l’ho informato dei risultati del vertice, in accordo completo con lui», dice il premier speranzoso, al pari del presidente degli Usa Obama, che l’azione militare duri soltanto pochi giorni.

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