Politica

Il premier: pari nei sondaggi ma vinceremo noi

«Siamo il baluardo della democrazia e gli italiani non potranno che confermarci la fiducia, salvando il Paese dalla sinistra»

Massimiliano Scafi

da Roma

Centrodestra in affanno, staccato, già quasi sconfitto? Macché, dice Silvio Berlusconi, in primavera «vinceremo noi». L’Unione in vantaggio, a più nove sulla Cdl, già quasi al governo? Ma no, insiste, non è vero, il sondaggio delle Acli, checché ne dica Pier Ferdinando Casini, «non rispetta la situazione reale». La verità, puntualizza, «è che siamo alla pari, 48,3 contro 48,3, e quando si dice parità di numeri s’intende vittoria per noi perché la sinistra ha un esubero di elettori nelle regioni rosse, dove, nel maggioritario, conquistano i collegi con un margine elevatissimo». Se il messaggio è chiaro, i destinatari lo sono ancora di più: i centristi dell’Udc che scalpitano, gli alleati che cercano di distinguersi e lavorano a terzi poli e i parlamentari che minacciano di abbandonarlo. «Non bisogna preoccuparsi - dice intervenendo al telefono a un convegno di Fi a Cortina d’Ampezzo - se c’è qualcuno che lascia Forza Italia. Sono mestieranti della politica che scappano come topi da una nave: lasciamoli andare, cacciamo i mercanti dal tempio. Il nostro partito è il baluardo della democrazia».
Dunque, «vinceremo noi», sostiene il premier. Vinceremo, assicura, perché «lo dicono i sondaggi veri, quelli che abbiamo commissionato all’inizio dell’estate, e lo confermano altre rilevazioni minori dei primi giorni di settembre». Vinceremo, spiega, «perché abbiamo lavorato bene, perché dobbiamo essere orgogliosi per quello che abbiamo fatto»: altro che discontinuità, come chiede l’Udc, qui serve solo «crederci» per restare al governo. Ma soprattutto, prosegue, «dobbiamo essere orgogliosi per quello che non abbiamo fatto». E cioè: «Non abbiamo rubato. Non abbiamo fatto di Palazzo Chigi una merchant bank. Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani. Non abbiamo aumentato le tasse, anzi le abbiamo diminuite. Non abbiamo usato la giustizia contro i nostri avversari politici, che invece continuano a farlo. Non abbiamo mai usato i servizi e nessuna arma di potere di governo. Non abbiamo mai mandato da nessuno la Guardia di finanza, mentre soltanto a me, da quando sono in politica, hanno mandato gli agenti 467 volte. Non abbiamo mai usato la tv per attaccare i nostri avversari». E ancora, pensando forse pure al caso-Fazio: «Non abbiamo mai usato le intercettazioni telefoniche, anzi ora abbiamo fatto una legge che ne riduce drasticamente la possibilità di farne».
Insomma, dice ancora il presidente del Consiglio, basterebbe quest’elenco per restare a Palazzo Chigi: «Soltanto questo, solo il fatto di aver garantito i valori liberali e la libertà di tutti e di ciascuno, al di là dei risultati raggiunti, potrebbe essere sufficiente affinché gli italiani pensino di essere garantiti con noi e di dare quindi a noi e non ad altri la responsabilità di governare il Paese». Quindi, «credendoci, ce la possiamo fare: io ho la profonda convinzione che resteremo per un’altra legislatura».
L’alternativa sarebbe «un’Italia soffocante, illiberale o addirittura autoritaria». Guai infatti, avverte il Cavaliere, a «consegnarci» all’opposizione: «La sinistra prospetterà tasse di tutti i tipi, anche sul patrimonio privato, aumentando le imposte su Bot e Cct. La sinistra affonda le sue radici in ideologie come il comunismo, che hanno dimostrato cosa erano, e non ha a cuore la libertà come ce l’abbiamo noi. La libertà che sta a cuore a loro è qualla di denigrare e insultare. Ma sono certo che gli italiani di buon senso e buona fede non potranno che confermarci la loro fiducia, salvando così il Paese».
Berlusconi cerca in questa maniera di serrare i ranghi della maggioranza. Non è più tempo «per il disfattismo», non c’è più spazio per gli alleati riottosi e critici «perché con il pessimismo non si va da nessuna parte». E non è proprio il caso, se la Cdl vuole vincere, di mettere in luce soltanto le cose che non vanno: «Non è colpa del governo se ci sono delle difficoltà. Il nostro è un Paese che ha dei problemi, ma per colpa dell’Europa, però non dobbiamo ritenere che l’Italia sia in condizioni negative». Il benessere individuale, afferma, è piuttosto diffuso, lo dimostrano «l’elevato numero» di automobili possieduto dai cittadini, «l’ampia diffusione» dei telefoni cellulari, «il numero cospicuo» delle case di proprietà.

Berlusconi conclude elogiando gli industriali: «Qui i nostri imprenditori sono bravi e sapranno contrastare l’offensiva delle economie emergenti».

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