Il premier si chiude nel silenzio, il partito democratico scricchiola

Lusetti: «È come nel ’94, Berlusconi può stravincere». Il ministro Chiti: al Nord c’è un problema». Timori per la mozione anti Visco al Senato

Il premier si chiude nel silenzio, il partito democratico scricchiola

da Roma

Tace Romano Prodi («Cosa volete che dica?», allargano le braccia ai piani alti dell’Ulivo), tacciono Piero Fassino e Francesco Rutelli. Chi parla, dall’Unione, lo fa per assicurare che «non c’è la spallata» auspicata da Silvio Berlusconi. Ma anche per avvertire che dal Nord arriva un «campanello d’allarme», come dice Fabio Mussi.
In verità, ammette previo anonimato un alto dirigente dell’Ulivo, «non è una rotta totale, ma abbiamo preso una batosta feroce». E chi ne esce peggio è il neonato Partito Democratico. Anche se i sondaggi della vigilia facevano temere ancora peggio, la «rotta» appunto: c’è qualche risultato a sorpresa (Taranto, Agrigento) che permette di accreditarsi una vittoria, c’è Genova che tiene. Nel pomeriggio si era materializzato il fantasma del ballottaggio nell’unica roccaforte settentrionale di centrosinistra, e si era sparso il panico: «Se salta Genova domani nella maggioranza c’è il rompete le righe generale», paventavano dal Prc. Ma pur tenendo, anche nel capoluogo ligure la «batosta» si fa sentire. E ora si attende con preoccupazione lo spoglio dei voti di lista.
«Noi ci salveremo grazie al fatto che siamo presenti in ordine sparso: come Ds e Margherita, come Ulivo, come liste locali. Grazie a dio non si potrà attribuire una percentuale al Partito democratico...», confida un dirigente dei Ds. Trema anche Rifondazione, che prevede di essere pesantemente penalizzata dal suo ruolo di governo. E nell’Unione rimbalzano voci attonite e forse persino ingigantite sui risultati «clamorosi» di Forza Italia.
Non è un caso se proprio ieri sera è tornato in pista il team «nordista» incarnato dal ministro Pierluigi Bersani e dal sottosegretario di Prodi Enrico Letta, che annunciano una prima iniziativa sulla «questione settentrionale» il 2 luglio a Milano. La bocciatura a Nord era fortemente temuta, come confidava lo stesso Letta alla vigilia del voto, e ora è arrivata: più pesante e clamorosa del previsto. «Uno tsunami, il centrosinistra arretra ovunque: c’è un’evidente delusione verso il governo», denuncia il Verde lombardo Monguzzi. «C’è un problema serio», ammette il segretario di Rifondazione Franco Giordano, secondo il quale la sconfitta settentrionale dipende «dal debito sociale che abbiamo verso operai e lavoro dipendente». Lo ammette anche il ministro ds Vannino Chiti: «Non c’è stato lo sfondamento, ma al Nord c’è un problema». Un problema che spaventa soprattutto il neonato Partito democratico: «Dobbiamo rilanciare il nostro profilo riformatore», constata il ds Migliavacca.
«Rischiamo il divorzio definitivo dal Nord», denuncia il socialista Villetti. Si fa sentire il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che già aveva denunciato la scarsa attenzione al Nord dopo la sua esclusione dal comitato promotore del Pd: «L’Unione e il governo hanno un problema di credibilità, e c’è un problema di esercizio della leadership da parte di chi governa». Fausto Bertinotti denuncia la «crisi della politica» rispecchiata dall’astensionismo; il dl Renzo Lusetti denuncia: «L’antipolitica favorisce Berlusconi: è come nel ’94, in questo clima solo lui può stravincere».


Ora che accadrà? Nell’Unione si guarda con allarme alla prima scadenza a rischio nella quale si potrebbero materializzare i malumori crescenti verso il governo: quella sulla mozione contro Visco al Senato. «Cercheremo di rinviarla di una settimana, ma poi bisognerà votarla. E potrebbe succedere di tutto», confida un capogruppo del centrosinistra.

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