Claudio De Carli
Giacinto era stato promosso vicepresidente dellInter allindomani della scomparsa di Peppino Prisco. Non era avvezzo alle cariche, aveva già ricoperto quel ruolo allAtalanta solo perché Treviglio fa provincia a Bergamo o forse perchè sempre di neroazzurro si trattava, ma era a disagio in quel mondo di scafati giocolieri, lui riservato e riflessivo, mai sopra le righe anche dopo la sconfitta meno sincera.
Quando Helenio Herrera lo prese dalla Trevigliese e lo trasformò da attaccante in terzino volante, quel cambio di ruolo fu il volano della sua strabiliante carriera. Non esattamente a questo modo andarono le cose quando da calciatore fu costretto a riciclarsi in dirigente. Per la sua imponente figura di atleta era diventato il gigante buono, e quello era diventato uno specchio al quale non poteva sottrarsi, non incuteva timori neppure in abito blu, se Moratti era accusato di non avere polso, lui non aveva neppure lo sguardo severo, anche quando dopo anni di vita nel gregge, la sua Inter non riusciva a passare il primo turno in Europa. Divenne il rappresentante allestero della squadra, lambasciatore nel giorno dei sorteggi di coppa, luomo da mettere davanti a tutto, simbolo della pulizia e della semplicità, la grande intenzione di Moratti di avere al fianco gente perbene.
Entrava sui pavimenti di marmo delle hall del calcio e li riscaldava, stringeva una mano e la riempiva di calore, quelle labbra sottili e gli occhi che strizzava davano fiducia, quando Puskas e Di Stefano lo incontravano si sentivano in famiglia, lui non era il vecchio calcio che non cera più, ma continuava a rappresentarlo nei modi e nei gesti.
Poi una sera di gennaio, era il 2004, Massimo Moratti si trova nuovamente in mezzo a tanti guai, una sconfitta in casa con lEmpoli in campionato, Vieri che si infortuna, i tifosi che contestano.
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