Roma - E adesso? E adesso è una parola... Il minimo che si può dire è che il videomessaggio ha terremotato il piccolo mondo finiano, che si aspettava qualcosa di diverso, un discorso molto più duro - gli uni -, molto più chiarificatore sui misteri monegaschi - gli altri. Comunque lo si guardi, da falchi o da colombe, un messaggio insoddisfacente, non risolutivo, debole. E nemmeno come viatico per la pace col Pdl le parole di Fini possono essere ritenute sufficienti, perchéper accontentare l’ala bocchiniana - ha comunque inserito elementi polemici contro il Cav nel discorso tanto atteso dopo quello di Mirabello; sul dissenso che non avrebbe domicilio nel Pdl, su un rapporto con la magistratura sano rispetto a quello dei berlusconiani, sulla riforma della giustizia per i cittadini e «non per risolvere i problemi personali» (una strizzatina d’occhio all’opposizione). Come parole di pace con il Pdl, non sono il massimo. E così, malgrado il barometro sia lievemente cambiato rispetto a prima, le nuvole nere all’orizzonte non sono ancora scomparse, anzi. Nel Pdl si fa notare un fatto non irrilevante, che pesa sulla credibilità di Gianfranco Fini come terza carica dello Stato, in una situazione di scontro così aperto e violento che lo vede in prima linea. Un episodio che si è verificato giovedì, qualche ora prima della conferenza stampa della (ex) deputata finiana Souad Sbai per annunciare il suo passaggio (anzi, rientro) nelle file del Pdl. Fini, raccontano le fonti, ha convocato la Sbai nel suo ufficio per raccogliere le sue valutazioni e sondare la possibilità di non farla passare col Pdl. L’aritmetica, in questa crisi della maggioranza, è diventata più determinante della politica, e Fini sa bene che una pedina in più o in meno può rafforzare o indebolire il suo peso al tavolo delle trattative col Cav (o con l’opposizione). Ma il punto, che nel Pdl è un argomento di discussione seria in queste ore, è il seguente: può un presidente della Camera essere considerato imparziale se poi è la stessa persona che si spende per convincere un deputato a stare in un gruppo alla Camera invece che in un altro? La risposta che si danno tutti è negativa. Fini si trova nella situazione, eccezionale nella storia della nostra Repubblica, di essere il capo di un gruppo parlamentare che non esisteva al momento del voto e che è stato eletto con un partito con cui ora è in polemica, e contemporaneamente a rappresentare la totalità del Parlamento pur parteggiando per una sola parte di esso, che vorrebbe - è naturale- più nutrita e forte possibile. Torna, insomma, il tema dell’opportunità che Finilasci la presidenza della Camera, per dedicarsi senza più ambiguità al suo ruolo di fondatore di una nuova ala, nei fatti di un nuovo partito di centrodestra. Il rischio è ovviamente tutto per Fini, che però non è tipo che ama rischiare. Il ruolo di presidente della Camera gli assicura uno standing istituzionale- e un rapporto privilegiato con il Colle, determinante in caso di crisi di governo- che non potrebbe mai avere come semplice leader del Fli. Non solo, ma il Fli è un pianetino appena formatosi, dove si moltiplicano le scosse di assestamento e le tempeste. Al di là delle costanti voci di addii e passaggi al Pdl, la spaccatura interna è sempre più evidente. Si racconta di una fortissima irritazione tra i futurist-finiani per le parole del deputato Fli Giuseppe Consolo, che ha assicurato preventivamente il suo appoggio ai cinque punti di Berlusconi. Ci sarebbero state pressioni per fargli correggere il tiro specificando che quella è una sua personale posizione, e non quella del Fli. Un finiano invece di quelli anti-Cav racconta anonimamente di prepararsi ad «uscire dall’aula nel momento in cui Berlusconi prenderà la parola », il 29 settembre. Ma il protagonismo troppo polemico di Bocchino & Co sta creando problemi. Il sottosegretario finiano Roberto Menia tira un dardo all’indirizzo di Bocchino dicendo che «sono finiano, ma non obbedisco a Bocchino ».
Il senatore Menardi confessa un «malessere», perché «ci sono colleghi che parlano a sproposito», e anche il capogruppo al Senato Viespoli dubita che la tattica mediatica orchestrata dalla banda Bocchino, Granata e Farefuturo sia stata giusta. Un settembre «nero» per Gianfranco Fini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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