Presidenti di commissione, intesa in maggioranza: confermata la Bongiorno e i finiani "tradiscono" il Pd

I democratici votano l'avvocato di Fini sperando di imporre Fassino agli Esteri. Ma vince il leghista Stefani

Roma Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: e dunque, per andare sul sicuro, i tre gruppi del centrodestra (Pdl, Lega e Fli) si sono blindati a vicenda.
Ieri si votava per il rinnovo di mezza legislatura delle presidenze di commissione, alla Camera e al Senato, e per evitare che - nel segreto dell’urna - qualcuno facesse scherzi, mandando all’aria gli accordi di maggioranza, ognuno ha votato in maniera differenziata lo stesso candidato: alla commissione Politiche Ue, per fare un esempio, i leghisti dovevano scrivere sulla scheda «Mario Pescante», i finiani «Pescante Mario» e i pidiellini solo «Pescante». Un modo per far tornare esattamente i conti. E così è stato: i presidenti di centrodestra sono stati tutti confermati, e qualcuno persino con più voti del previsto. Un record per Giulia Buongiorno, la finianissima presidente della Commissione giustizia della Camera: 40 voti su 48. E questo grazie al Pd: il capogruppo Dario Franceschini ha annunciato martedì sera che i suoi la avrebbero votata. In cambio, si racconta, il Pd ha chiesto ai finiani di dare una mano ad alcuni candidati di opposizione per promuovere loro al posto degli uscenti: le ipotesi erano Piero Fassino agli Esteri (una promozione caldeggiata da chi non vuole vederlo candidato sindaco di Torino, si maligna nel Pd); l’Udc Francesco Bosi alla Difesa; l’Idv Sergio Piffari all’Ambiente e l’Api Bruno Tabacci alla Bilancio. I finiani però si sono tirati indietro, e il Pd è rimasto con un palmo di naso. Fassino ha incassato 20 voti contro i 23 del leghista Stefani, scontando la diserzione dell’Idv Leoluca Orlando («È la vendetta per la sua mancata elezione in Vigilanza», dicono), che ha fatto sapere di essere impegnato ad Helsinki; l’assenza “diplomatica“ del finiano Tremaglia che voleva votare l’ex segretario Ds (e pare sia stato energicamente dissuaso dai suoi) e una scheda bianca dall’opposizione.
Ora il buco nell’acqua registrato dal Pd viene irriso da Di Pietro (i suoi sono stati gli unici a negare il proprio voto alla Bongiorno, «perché dovremmo votarla per poi scoprire che fa passare il lodo per Berlusconi?») e suscita malumori nel partito di Bersani. La minoranza interna voleva fare un pubblico commento sarcastico («Abbiamo dato una mano alla maggioranza e in cambio non abbiamo incassato un tubo», dice un parlamentare) ma Veltroni li ha stoppati, per non alimentare tensioni. L’unico intoppo lo ha registrato la presidente della Commissione Cultura, Valentina Aprea (Pdl). Al primo voto le sono mancati i voti del compagno di partito Rampelli e di un leghista, poi richiamato all’ordine dal capogruppo Reguzzoni in persona: eletta al secondo turno.


Intanto il Pdl fa sapere che tornerà a partecipare alle sedute del Copasir, il comitato di controllo sui servizi presieduto da D’Alema, visto che le sue «preoccupazioni sui rischi di sovraesposizione» (leggi le troppe esternazioni del membro finiano Briguglio e le «fughe di notizie» denunciate anche da D’Alema) sono state «accolte dai nostri interlocutori istituzionali».
Lo stesso Fini, dicono, ha assicurato che userà su Briguglio la propria «moral suasion» per invitarlo a frenarsi. E nel Pdl si spera che «venga ascoltato».

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