Preso il latitante Di Fazio boss del clan Santapaola

Grazie alle indagini del Sismi manette al pupillo di Provenzano

da Catania

Doveva essere una sabato sera tranquillo, con amici e parenti in una villetta sicura dove potere mangiare del pesce e stare sereni. A infrangere i progetti del boss Umberto Di Fazio, 43 anni, ritenuto il reggente della cosca Santapaola nel Catanese, ricercato da cinque anni e inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità, sono i carabinieri che poco dopo la mezzanotte scorsa hanno fatto irruzione nella casa, in una campagna di Agira, in una zona isolata dell’entroterra siciliano nell’Ennese.
I militari - grazie alle approfondite indagini degli 007 del Sismi - hanno atteso ore sotto la pioggia battente in mezzo al fango e l’erba bagnata di entrare in azione, a catturarlo e a mettergli le manette. Di Fazio non ha reagito: è, secondo i pentiti, uomo d’onore da oltre 20 anni e si comporta secondo copione.
Il boss indossava un giubbotto perché è sempre pronto a fuggire e in ogni caso non sarebbe rimasto lì: quella villetta di proprietà di suoi congiunti non è il suo covo, ma un luogo di passaggio dove è arrivato da solo. Alla fine dell’operazione i carabinieri hanno arrestato tre suoi presunti fiancheggiatori: un cugino, Giuseppe Di Fazio di 43 anni, e altri due suoi amici, Giuseppe Giannetto di 43 e l’imprenditore Michele Stivala di 25 anni. Sono tutti indagati per favoreggiamento personale.
Nei suoi confronti era pendente da cinque anni un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa emessa dal Gip di Catania. È stato condannato all’ergastolo per un omicidio di mafia in secondo grado; contro la sentenza è pendente un ricorso in Cassazione.
Il nome di Umberto Di Fazio compare in uno dei «pizzini» provenienti dal capo dei capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, e trovato a Nino Giuffrè: era la richiesta del gruppo La Rocca di avere l’autorizzazione a poterlo uccidere per contrasti sorti nella gestione degli appalti pubblici e delle estorsioni alle ditte incaricate dei lavori nel Catanese.
L’ultima volta che gli investigatori lo vedono, prima della cattura, è il 13 febbraio del 2000, quando il boss, ancora non ricercato, è fermato a un controllo dai carabinieri che lo trovano assieme a un consigliere provinciale di Catania che dice di «essere soltanto un suo amico».
«Grandissima soddisfazione per la brillante operazione» è stata espressa dal ministro alla Difesa, Antonio Martino, che ha rivolto un «sentito compiacimento» al Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, generale Luciano Gottardo, «per l’azione condotta dai carabinieri con l’ausilio del locale raggruppamento operazioni speciali (Ros)» e al direttore del Sismi, generale Niccolò Pollari, «per l’importante collaborazione» fornita dal servizio di intelligence.
«Congratulazioni ai carabinieri che sono riusciti ad assicurare alla giustizia un pericolosissimo latitante componente della famiglia mafiosa di Catania» arrivano anche dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso.


Il presidente del Copaco Enzo Bianco ha chiamato «personalmente il ministro dell’Interno e il comandante generale dell’Arma per complimentarsi». «La sua cattura - osserva - è un duro colpo alla mafia che arriva dopo quello inferto nei giorni scorsi dalla Squadra mobile di Catania».

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