Preso il pirata della Casilina: già libero È un 50enne romano: prima nega di aver investito e ucciso Igino Checchi, in seguito ammette in lacrime: «Volevo costituirmi». Il pm lo indaga per omicidio colposo e poi lo rimanda a casa

Dopo tre giorni di caccia all’uomo l’hanno trovato. E solo quando era spalle al muro ha confessato tra le lacrime, dicendo, a quel punto, che di lì a poco avrebbe voluto costituirsi, e che i sensi di colpa lo tormentavano. Il pirata della Casilina, l’uomo che la notte dell’11 marzo ha travolto e ucciso il 58enne Igino Checchi per poi fuggire via, si è fatto scovare quando era nascosto in casa propria, con i suoi familiari. Quella casa dove è già tornato, denunciato per omicidio colposo ma a piede libero.
I vigili urbani dell’VIII gruppo gli hanno stretto il cerchio intorno giorno dopo giorno da quel mercoledì notte, setacciando l’area dell’incidente, interrogando i testimoni, e alla fine identificando con certezza il modello dell’auto grazie a una ripresa video dell’incidente, dal quale purtroppo non si decifravano i numeri della targa. Ma al termine di una lunga serie di controlli incrociati, ieri mattina gli agenti della municipale hanno bussato a casa dell’investitore, che ha una macchina uguale a quella che aveva investito Igino.
L’uomo è un elettrauto romano di 50 anni che vive a Ponte di Nona, nelle case popolari. Ed era lì, dietro la porta, con la moglie e i due figli. All’inizio ha negato tutto, è caduto dalle nuvole. Ma ha seguito i vigili che l’hanno portato negli uffici dell’VIII gruppo, e mentre la sua auto veniva analizzata alla ricerca di ammaccature e macchie di sangue compatibili con l’investimento, il 50enne si è chiuso a riccio appena è cominciato l’interrogatorio. «Non sono stato io», ha spiegato.
Solo a quel punto è crollato. È scoppiato in lacrime, come racconta uno degli investigatori del gruppo diretto da Antonio Di Maggio, e «ha ammesso la sua responsabilità, spiegando anche che aveva intenzione di costituirsi tra oggi e domani perché non dorme da tre giorni e non sentiva la coscienza a posto». Pentimento reale o di comodo? Gli uomini della polizia municipale hanno dovuto moltiplicare gli sforzi per rintracciarlo, gli appelli a costituirsi del comandante Di Maggio sono caduti nel vuoto. Il magistrato Giuseppe Cascini per ora l’ha denunciato per omicidio colposo lasciandolo a piede libero. Una decisione che farà discutere.
Angelo Giuliani, comandante del corpo, sottolinea che «scappare e cercare di nascondersi non serve a nulla, come hanno dimostrato gli agenti della Polizia municipale, che per tre giorni e tre notti hanno cercato il pirata della strada». Anzi, «collaborare fattivamente nell’immediato - ha proseguito Giuliani - può essere determinante per salvare vite umane».
Così al comandante Antonio Di Maggio e ai suoi uomini sono arrivati i complimenti dello stesso comandante del corpo («Hanno ancora una volta dimostrato grande efficienza ed esperienza investigativa») e anche quelli del sindaco Gianni Alemanno: «Operazioni come quelle di oggi - il commento del primo cittadino, che ha voluto ringraziare con una nota gli investigatori del gruppo - aiutano a radicare nei cittadini un senso di sicurezza e a rafforzare la fiducia nelle forze dell’ordine».
La moglie della vittima, Leonor Florentin, filippina, sposata con Checchi da 21 anni e in Italia da 30, è arrivata subito davanti agli uffici dell’VIII gruppo insieme ad alcuni parenti. Lei non riesce però a darsi pace. «Ringraziamo Dio e ringraziamo la polizia municipale per aver trovato il responsabile dell’uccisione di Igino», spiega piangendo, poi aggiunge: «Adesso vogliamo giustizia, la vera giustizia».
E anche Umberto, fratello di Igino, non lascia spiragli al perdono. «Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e voglio continuare ad averla», spiega, mentre lì dentro stanno interrogando l’uomo che ha confessato di aver travolto suo fratello. Le parole rivolte agli agenti sono un’eco di quelle della vedova: «Giustizia deve essere fatta, lui oggi non deve uscire da qui, se esce lo fermiamo noi». Ma l’uomo, come detto, esce e torna a casa, scortato dagli agenti e insultato dai passanti.


E alla fine anche Umberto, rimasto di fronte agli uffici dell’VIII gruppo, piange. «L’ha lasciato come un cane in mezzo alla strada - spiega disperato - si doveva fermare, non posso avere pietà, è un italiano come noi, deve pagare fino all’ultimo».

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