Il prestigiatore del calendario è riuscito a superare Giulio Cesare e Gregorio XIII

Laureato, in attesa di stabile occupazione. Vive a Sora, il paese della Ciociaria dove nacque Vittorio De Sica. La sua memoria ha stupito Gerry Scotti. Però a volte dimentica la pappa del cane

Dopo aver ricevuto via mail un’autocandidatura lunga appena 463 parole in meno rispetto alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni e infarcita per il 59,17% da affermazioni quali: «Lei, come i personaggi dei quali parla, è un autentico ed esemplare specchio dei valori dell’italica gente», «Lei ha l’abilità di metterne in risalto le caratteristiche con pagine profondamente meditate, limpidamente esposte, pazientemente elaborate, fervide di pensiero, ricche di valore storico, umano e documentario», «Lei, schivo di ogni cerimonia, tutto dedica alla Sua alta missione di giornalista, praticandola con assiduo impegno e rara geniale competenza e conciliando disciplina, intelligenza ed umanità in sintesi ideale», «Lei per la Sua alta missione civile e sociale attinge alle sorgenti più profonde dell’anima», «Lei costituisce un magma ribollente di un flusso di coscienza ed onesta anima giornalistica, di un’analisi che parte dal basso, aspirando a farsi voce dell’Italia, quella viva e vera», ho ceduto alla tentazione di conoscere un altro pezzo di questa Italia viva e vera nella persona di Pietro Margiotta, 39 anni, laureato in economia e commercio all’Università di Cassino con master in gestione d’impresa e corso di specializzazione in contabilità e pratica tributaria, consulente aziendale, ricercatore e scrittore, in attesa di stabile occupazione.
Vanità delle vanità. Per penitenza m’è toccato scendere fino a Sora (Frosinone), paese della Ciociaria i cui unici due vanti fino a ieri erano Vittorio De Sica, che vi nacque nel 1901 ma si vergognava a dirlo in giro e perciò faceva finta d’essere napoletano, e Antonio Valente, architetto e scenografo che nel 1930 inventò il carro di Tespi utilizzato dal Minculpop per portare le compagnie di prosa anche nelle località prive di un teatro stabile. Al secondo è intitolato un palazzo di sei piani che fa a cazzotti con i circostanti monti Ernici e Simbruini, costruito negli anni Settanta per portare la facoltà di medicina della Sapienza di Roma in uno dei feudi andreottiani. Adesso il mostruoso edificio ospita un istituto d’arte e mai destinazione d’uso apparve più azzeccata per questa località, povera di mezzi ma ricca di ingegni, fucina naturale dell’umano talento.
Infatti Margiotta, da poche settimane terzo vanto dei sorani, s’è sottoposto con successo al vaglio dei giudici Gerry Scotti, Maria De Filippi e Rudy Zerbi in Italia’s got talent, il programma di Canale 5 condotto da Simone Annichiarico e da Geppi Cucciari. E dove lo trovavano un altro capace di dirti all’istante il giorno corrispondente a qualsiasi data, avendo fondato un sistema matematico descritto nell’impervio libretto La matesificazione del calendario? E di sciorinare a memoria paradigmi latini, capitali del mondo e formule chimiche? E di ricordare le date di nascita e di morte dei personaggi della storia e della letteratura? E d’inventare palindromi e giochi di parole in italiano, latino e inglese?
Ovvio che Pietro sia l’orgoglio dei genitori Mario e Maria e del fratello minore Gabriele, 15 mesi di differenza, medico chirurgo che si sta specializzando in anatomia patologica all’Aquila. Più che comprensibile che i due anziani genitori si siano perciò piazzati alle estremità del tavolo di cucina per assistere alla prova d’abilità del figliolo col giornalista arrivato dal Nord. Buon sangue non mente: pur avendo conseguito solo la licenza elementare, il padre del fenomeno fu premiato come miglior alunno della sua classe. Dopo aver fatto per anni il contadino, Mario Margiotta nel 1959 fu spinto dalla fame a emigrare in Canada, dove divenne un asso nel montaggio e nello smontaggio delle gru, tanto da guadagnarsi il titolo di hoisting engineer, alla lettera «ingegnere di sollevamento», concessogli dal Dipartimento del lavoro per la competenza profusa nella costruzione delle Leaside Towers del Thorncliffe Park di Toronto, due torri gemelle terribilmente somiglianti a quelle di New York anche se costruite qualche anno prima e tre volte meno elevate: 129 metri, 44 piani. Nel capoluogo dell’Ontario è nato il «matesificatore» del calendario. L’anno successivo il ritorno della famiglia a Sora.
Come mai la trovo a casa anziché in ufficio?
«Dottore, lei dovrebbe saperlo: qui al Sud il lavoro non c’è. Mi fanno solo contratti a termine di 3, 9 o 12 mesi. Una decina finora. Il Comune di Sora ha bandito una gara per la gestione della biblioteca civica e dell’archivio, 831.250 euro per 4 anni e 9 mesi. Una società cooperativa mi ha coinvolto nel progetto gestionale. Agli inizi di maggio avrebbero dovuto affidarci il servizio. Niente».
Quando s’è accorto di possedere delle speciali capacità?
«In quinta elementare. Qualsiasi cosa leggessi sul sussidiario mi restava impressa nella memoria, a cominciare dalle date di nascita e di morte».
Proviamo: Giovanni Verga.
«Nato nel 1840, morto nel 1922. Senatore del Regno dal 1920».
Complimenti.
«In quinta ginnasio fu la volta dei paradigmi latini: 3.600 della prima coniugazione, 2.500 della terza e un altro migliaio della seconda, della quarta e della terza in “-io”. Tutti esempi di memoria sistematica».
I suoi amichetti la trattavano da diverso?
«La consideravano una dote magica. Per me erano solo automatismi».
E a indovinare il giorno della settimana corrispondente a una data quando c’è arrivato?
«Sempre a partire dalla stessa età. Mi sono reso conto che ricordavo perfettamente i giorni degli ultimi sette-otto anni, li associavo senza fare nulla. Via via mi sono ritrovato, all’età di 20 anni, ad avere stampati nella testa oltre 5.000 giorni, praticamente l’intero arco della mia vita, tranne la prima infanzia. Ancora oggi ho in mente oltre trent’anni di esistenza, giorno per giorno».
Tutti ci possono arrivare?
«Sì, basta un po’ d’allenamento. Definito N l’anno bisestile, N+1 sarà l’anno successivo, N+2 quello dopo, N+3 quello dopo ancora. L’N si ripete uguale ogni 28 anni. Cioè ogni 28 anni la corrispondenza dei giorni alle date è identica. L’N+1 si ripete identico dopo 6 anni, l’N+2 dopo 11 anni, l’N+3 dopo 11 anni».
Lasci perdere, non sono in grado di seguirla.
«È solo questione di memoria. Il cervello umano può contenere un numero di informazioni enorme. Gli scienziati devono ancora trovare un valore definitivo, ma la capacità di stoccaggio, parlando in linguaggio informatico, è quantificata tra i 3 e i 1.000 terabyte. Il suffisso “tera” indica la quarta potenza di mille, ossia 10 alla dodicesima potenza, un 1 seguito da 12 zeri, ovvero 1.000 miliardi. Volendo semplificare, un cervello umano può contenere circa cinque volte il numero di informazioni della più grande enciclopedia esistente».
Il suo di sicuro. Mai assunto Acutil fosforo o altri medicinali, immagino.
«Mai».
Vediamo se riesco a capire la «matesificazione del calendario».
«Viene da matèsi, voce dotta caduta in disuso, dal greco máthesis. Significa matematica. Da manthánein, imparare».
Qualcosa di più semplice proprio non le veniva, eh.
«È un mio pallino creare neologismi per evitare le ripetizioni, che detesto. Biotelìa per morte, da bios, vita, e télos, fine, termine. Elicònide per poeta, da Elicona, il monte sacro alle muse. Cliòlogo per storico, da Clio, la musa della storia. Non capisco perché Enzo Biagi sul mio libro di storia delle medie potesse usare coventrizzare al posto di radere al suolo, da Coventry, la città inglese distrutta durante la seconda guerra mondiale, e a me debba essere vietato inventare nuove parole».
Si diceva del calendario.
«Nell’antica Roma si produceva uno sfasamento fra l’anno tropico, solare, e quello civile, lunare, ed era approssimativa anche l’aggiunta del mese intercalare, cosicché i mesi finirono per non corrispondere più alle stagioni. Alla situazione pose rimedio Giulio Cesare nel 46 a.C., che affidò la riforma all’astronomo greco Sosigene. Di qui il calendario giuliano, con un anno bisestile ogni quattro. Ma l’anno tropico non è di 365,25 giorni, bensì di 365,2422, e questo creò un’altra sfasatura rispetto al ciclo solare. Ci volle Papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, duca di Sora, per sistemare un po’ le cose».
Duca di Sora?
«All’incirca. Nel 1580 aveva acquistato il ducato di Sora dai Della Rovere e lo aveva regalato al figlio naturale Giacomo. Tre anni dopo il pontefice decise di introdurre il calendario gregoriano, tuttora in vigore, che considera bisestili gli anni di fine secolo soltanto se perfettamente divisibili per il divisore 400. Però in questo modo si crea ugualmente uno scarto di tre ore ogni 400 anni. Dopo 3.200 anni manca all’appello un giorno».
Urge un’altra riforma del calendario. Mi lasci indovinare: la sta preparando lei.
«Ci ho scritto un libro. Impossibile spiegarla in un articolo di giornale».
Si sforzi.
«In due parole: nel mio calendario qualsiasi giorno, di qualsiasi mese, è uguale. Il 1° sarebbe sempre lunedì, il 3 sempre mercoledì, il 21 sempre domenica. Un bel vantaggio, no? Ammesso che tutti i Paesi lo applicassero, visto che il calendario gregoriano in Russia fu introdotto solo dopo la Rivoluzione d’ottobre».
Ma resterebbe valida la filastrocca «30 giorni ha novembre, con april, giugno e settembre, di 28 ce n’è uno, tutti gli altri ne han 31»?
«No, i mesi sarebbero 13 di 28 giorni ciascuno».
Nessuna discordanza col ciclo solare?
«Be’, non proprio. Ogni cinque anni e mezzo andrebbe introdotta una settimana intera di recupero alla fine di febbraio o di qualsiasi altro mese. Il tutto spiegato in estrema sintesi, perché il calcolo, lo ripeto, è più complicato».
Vabbè, torniamo alla sua specialità. Sa dirmi il nome di un personaggio famoso nato di lunedì?
«Alessandro Manzoni, 7 marzo 1785».
Di mercoledì?
«Niccolò Machiavelli, 3 maggio 1469».
Di sabato?
«Leonardo da Vinci, 15 aprile 1452».
Non vado a controllare. Semmai la figuraccia la fa lei.
«Tranquillo».
Ho letto che ha applicato la matematica ai giochi a premi.
«Molti giocatori che fanno la schedina si rivolgono a me perché gli dica quante probabilità hanno di vincere e io gli faccio subito il calcolo a mente».
E quante sono queste probabilità?
«Al Totocalcio ci sono 531.441 combinazioni per il 12 e 1.594.323 per il 13. Siccome la giocata minima è di due colonne, chi voglia tentare la fortuna spendendo il meno possibile ha una possibilità su quasi 800.000 di azzeccare l’intera combinazione. Al lotto c’è una probabilità su 400,5 che esca un ambo, una su 11.748 il terno, una su 511.038 la quaterna, una su 43.949.268 la cinquina».
Si ricorda in che anno fu scoperta la penicillina?
«Nel 1928».
Ma Alexander Fleming ne diede l’annuncio solo il 13 febbraio 1929.
«Era mercoledì».
Si ricorda la data dello schiaffo di Anagni?
«E ci mancherebbe altro: 7 settembre 1303. Un sabato. Sciarra Colonna, emissario di Filippo IV il Bello, schiaffeggiò Papa Bonifacio VIII per intimargli di ritirare la bolla di scomunica del re di Francia. Anagni sta qui in Ciociaria, a due passi».
Per quello gliel’ho chiesto. Come si vive in Ciociaria?
«Malissimo. Poco lavoro e tanta mafia. Quella dei colletti bianchi. Sì, insomma, mafia politica. Mio padre dice sempre che si può trattare soltanto con quelli che abitano dalla Toscana in su. Non ha tutti i torti».
Perché ciociaro è diventato sinonimo di beota, come il Martufello che lo incarna in televisione?
«Perché è un tipo alla buona, vissuto per lungo tempo sotto il dominio spagnolo. E gli spagnoli, si sa, proprio campioni di efficienza non sono».
Ma lei non dimentica mai nulla?
«Di dar da mangiare a Diana, il nostro levriero russo di purissima razza Borzoi».
Non lo sa che il nostro cervello è programmato per cancellare periodicamente i ricordi nocivi?
«Sì, lo so, ma che posso farci? Anche fra 50 anni io mi ricorderò che l’11 dicembre 2009, un venerdì, mio fratello è stato sottoposto a cardioversione farmacologica per una fibrillazione atriale. Il giorno peggiore della mia vita».
Che cosa fanno i ragazzi a Sora?
«Niente, purtroppo. Oziano nei bar. Manca il lavoro, gliel’ho detto».
Se ne andrebbe da Sora?
«Sì. Mi basterebbe trasferirmi ad Avezzano. Lì lavoro ce n’è».
Sembra che lei guardi l’Italia con un cannocchiale rovesciato: ingrandisce particolari superflui e non si occupa del quadro d’insieme. Da un laureato in economia ci si aspetterebbe di più.
«E lei pensa che se io potessi esporre le mie idee qualcuno mi offrirebbe il modo per realizzarle?».
Di che vive?
«Sopravvivo a 1.000 euro al mese. Sono già più fortunato della maggioranza dei miei coetanei ciociari».
Il giorno che la memoria comincerà a declinare, per lei sarà una tragedia.
«Spero di no. Lo considero un evento più fisiologico che patologico.

Non è che la vita degli uomini sia poi questa gran cosa: 880 mesi, 3.810 settimane, 27.000 giorni, 648.000 ore, 39 milioni scarsi di minuti, 2 miliardi e mezzo di battiti cardiaci, mezzo miliardo di respiri, 700 tagli di capelli».
(499. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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