(...) Salvo sporadici casi marginali, tifoseria da dieci e lode dacché Paolo Mantovani la sottopose per tre lustri al più profondo maquillage calcistico a memoria d'uomo, con raddoppio del numero all'insegna di uno spirito sportivo che non teme confronti nel viscerale mondo della pedata. Squadra partita l'estate scorsa dai preliminari di Champion's League. Se il prossimo 22 maggio retrocedesse in serie B, com'è ormai corposamente probabile, la Sampdoria verrebbe beffardamente iscritta d'ufficio nel Guinness dei primati.
Sappiamo tutti che il 4° posto del campionato scorso faceva aggio sull'effettiva potenzialità della squadra, pur se sarebbe comunque sbrigativo affermare che con i 19 punti in più che Palombo e compagni vantavano dodici mesi fa la Sampdoria sarebbe ora «soltanto» settima, alla pari della Juve di Marotta e Del Neri a quota 51; considerazione sbrigativa perché appunto per via di quei 19 punti teoricamente conquistati in più qualcosa la Samp avrebbe pure tolto anche a chi sta lassù. Ma insomma come spiegare a un marziano appena sbarcato su questa terra che una squadra diciamo pure da 5°/6° posto abbia potuto ridursi in un anno da 16°/17° (e per ora è grasso che cola)? Diciamolo francamente: un maxiautogol del genere sarebbe concepibile solo se fatto apposta, come vorrebbero indicare le sciagurate cessioni di Cassano e Pazzini. Eppure io vi giuro che non è vero, che c'è stata incompetenza e presunzione, questo sì, in abbondanza, ma nient'altro. Tant'è che, oltre alla faccia - perdita micidiale per personaggi del calibro dei Garrone e Mondini - la retrocessione finirebbe per costare loro molto ma molto di più dei 150 milioni di euro fin qui dichiarati. A meno che, ripristinando il buonsenso che due lustri fa ispirò l'avvento di Marotta, si decidesse - riuscendovi - di convincere un signor manager come Giovanni Sartori (concedendogli carta bianca) ad abbandonare il proficuo felicissimo sodalizio con il Chievo di Campedelli per promuovere una nuova primavera blucerchiata.
Raramente si vide una sontuosa cena calcistica altrettanto beffarda. Esauriti aperitivi, antipasti, primi, secondi, dessert, caffè e liquorini, siamo alle linguacce. Oltretutto, fino alle 15.38 di domenica scorsa la zona che scotta si presentava con il Chievo (beffato sabato dall'Inter) a quota 36, il Catania (in svantaggio a Bari) a 35, la Sampdoria (sullo 0-0 con il Lecce) a 33, il Parma (in svantaggio in casa Lazio) e il Lecce a 32, il Cesena (in svantaggio a Palermo) a 30, il Brescia (in svantaggio a Cagliari) a 29, il Bari a 23. Con il favorevole corollario, in chiave blucerchiata, della successiva rocambolesca sconfitta del Genoa per maligno piede di Toni in casa Juve e conseguente obbligo per il Grifone di ospitare domenica prossima il Brescia a muso duro. Insomma, per Cavasin e discepoli una condizione se non di tutta sicurezza quasi. Invece - per vero crudele la polliciata del Destino -, a complemento dell'impietoso sberleffo subito a Marassi dal Lecce «che si doveva battere e basta», ecco scattare nel giro di pochi minuti la dantesca pena del contrappasso: pareggi a strascico di Catania, Brescia e Cesena, con le fauci dell'inferno del calcio automaticamente in agguanto pregustando il sapore di Samp.
La squadra acefala che ha perso 12 delle ultime 17 partite disputate, rimanendo sconcertantemente all'asciutto in ben 13 occasioni, sarà ora chiamata ad affrontare la doppia trasferta di San Siro (Milan in piena corsa scudetto) e Bari (punto interrogativo), ospitare un Brescia in grande salute e disputare il derby che di per sé rappresenta un'insidia esiziale. Però è tornato Pozzi. Non sarebbe un grande centravanti nemmeno se fosse in forma, e ancora non è in forma, ma è un centravanti, di peso e coraggio. Non a caso, con lui che si è assunto l'onere di fare a sportellate nel cuore della difesa avversaria, Maccarone è finalmente riuscito a trovare il bersaglio. Non è bastato, ma si è trattato di un incoraggiante passo avanti.
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