Cronaca locale

Il «pret» dei miracoli fra storia e leggenda

Venerato come un santo. Era chiamato il prete «de Ratanà» poiché la sua vocazione maturò in un piccolo centro della bassa milanese, Retenate, dove officiò per quattro anni

Igor Principe

Lo seppelliscono al Monumentale a stretto contatto con altri defunti, ma devono cambiargli posto. Tante, troppe le persone che si recano in pellegrinaggio sulla sua tomba per regalare una preghiera a colui che li ha guariti da un malanno, o ha guarito un loro caro. L'invasione di campo - santo - è metodica; così, quattordici anni dopo la sua sepoltura, le autorità del cimitero lo spostano in un luogo in cui il flusso di fedeli sia più smaltibile.
Lui è don Giuseppe Gervasini, il «Pret de Ratanà». Ovvero il prete di Retenate, frazione del comune di Vignate in cui il prelato officia dal 1897 al 1901. Solo quattro anni, ma sufficienti a spargere intorno alla sua figura un’aura in cui religione, esoterismo e leggenda si fondono in un corpo unico.
A raccontarne la vita provvede un libro da poco uscito per i tipi di Selecta: «La Milano del pret de Ratanà» (pp.142, 32 euro). Gli autori sono Francesco Ogliari e Franco Fava, appassionati cultori di storia milanese, e il titolo del volume dice tutto sulle loro intenzioni: narrare due storie. Quella del protagonista, infatti, si intreccia ad un'ampia panoramica sulla Milano a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il «pret» nasce nel 1867 e muore nel 1941; settantaquattro anni in cui la città afferma e consolida il suo primato di capitale industriale ed economica d'Italia, facendosi teatro di passaggi decisivi della storia nazionale.
I più noti riportano ai cannoni di Bava Beccaris (1898) e alla nascita del fascismo (1919). I meno noti tratteggiano il cambiamento di una città che pian piano si fa metropoli, in cui nel 1883 si inaugura la prima centrale termoelettrica in Europa e la seconda al mondo (l'altra è a New York), e dieci anni dopo il primo tram elettrico.
Su questo sfondo scorre la storia del pret del Ratanà. Nato a Sant'Ambrogio Olona, si trasferisce bambino all'Isola, malfamato quartiere milanese della zona Garibaldi. Lì la sua famiglia matura l'idea del seminario, forse per tenerlo lontano da cattive compagnie. E fa niente che tra Giuseppe e i voti sacerdotali la distanza sia abissale: non parla che in dialetto, talvolta impreca, ha modi spicci e spesso offensivi. Ma studia, legge senza sosta i testi sacri e anche quei libri da cui, secondo il codice di diritto canonico, un prete dovrebbe stare alla larga: i testi di medicina. In particolare quelli della Scuola salernitana, per apprendere le tecniche che poi applica alle guarigioni che fanno gridare il popolo al miracolo.
Per alcuni tratti lo si apparenta alla persona di Padre Pio, per altri al personaggio di Don Camillo. Ma se costoro, indiscutibilmente, attraggono, don Gervasini al contempo attrae e repelle. Veste una tonaca mai transitata dai lavatoi. Il giorno in cui è ordinato sacerdote si presenta quando tutti sono già a casa; gli dicono che gli avanzi del banchetto sono nel pollaio: lui vi entra, sottrae la ciotola ai pennuti e ne trangugia il contenuto. A Retenate comincia la sua leggenda di guaritore, al cui cospetto è sufficiente presentarsi per tornare a casa liberi da ogni malanno. Ufficialmente è questo il motivo che spinge il cardinal Ferrari, arcivescovo di Milano, a sospenderlo a divinis nel 1901 su richiesta del conte Greppi. In realtà, pare che al nobile che de facto governa a Retenate non sia piaciuto l'appassionato sostegno che il prete regala alla folla che protestata davanti ai cannoni del Bava Beccaris.
Un anno dopo, don Gervasini è reintegrato nelle sue funzioni. Ma nessuno lo sa. Un prete, sentendosi chiedere il permesso di officiare messa, lo caccia in malo modo dalla chiesa e il «pret» non gli oppone legittimità della sua richiesta. Disegnarne un profilo psicologico non è dunque possibile. Ma nella sua complessità si coglie un elemento funzionale alla sua leggenda di guaritore.

Che rimane viva fino alla sua morte, avvenuta nella Cascina Linterno di Baggio in cui vive dal 1926, e che i suoi «fedeli» ribattezzano «la casa dei miracoli».

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