Il prezzo della libertà La primavera araba ci costa 174 miliardi

Il CairoLa rivoluzione ha un costo e dietro agli ideali che hanno portato in piazza milioni di persone in questi mesi, il denaro ha svolto fin dall’inizio un ruolo, all’origine e nei destini delle rivolte. I paesi arabi, che in questi mesi hanno vissuto sconvolgimenti epocali, sono ora alle prese con numeri e percentuali che raccontano un arresto economico rischioso per la regione ma anche per il resto del mondo.
Durante il fine settimana, i vertici della Banca mondiale hanno fatto sapere che «un aggravarsi delle condizioni in Medio oriente e Nord Africa potrebbe far deragliare la crescita mondiale» e costare centinaia di miliardi di dollari. Le rivolte popolari che tra gennaio e marzo hanno fatto cadere i regimi di Tunisia ed Egitto e diviso la Libia in due hanno avuto per ora un consistente effetto soltanto sulle economie locali e se la situazione rimanesse stabile, dicono gli esperti della Banca mondiale, non ci sarà contagio. Secondo i dati dell’organizzazione, la crescita economica di Tunisia ed Egitto è scesa quest’anno rispetto alle aspettative di circa tre punti, attestandosi rispettivamente a 1,5% e 2,5%. Ma se la situazione politica peggiorasse e «se i prezzi del petrolio dovessero aumentare fortemente e in maniera duratura, la crescita mondiale potrebbe rallentare di 0,3 punti percentuali nel 2011 e di 1,2 punti nel 2012». L’impatto delle rivoluzioni arabe in termini di minor ricchezza prodotta nel mondo potrebbe quindi tradursi in una perdita di 174 miliardi di dollari quest’anno.
Per il ministro delle Finanze tunisino, Jaloul Ayed, che ha parlato pochi giorni fa a un forum economico a Washington, il destino delle rivolte democratiche arabe dipende anche dalla ripresa economica. Le rivoluzioni si fermeranno soltanto «se la democrazia si tradurrà in benessere», ha detto. A innescare l’onda di dissenso infatti è stata a dicembre la morte di un giovane venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco per protestare contro la confisca da parte delle autorità del suo carretto di verdure. Dopo la rivoluzione, l’economia tunisina - dipendente dal turismo e dagli investimenti stranieri - crescerà soltanto dell’uno o 2% entro la fine del 2011. L’anno scorso era salita del 3,7%, secondo il governatore della Banca centrale nazionale, Mustafa Nabil. E in Egitto, dove ieri il popolare mercato di Khan el Khalili, regno dei turisti e dei vacanzieri, era semi deserto, l’economia è cresciuta soltanto del 2,5% rispetto al 5,3 dell’anno scorso. In marzo, il turismo è crollato del 60% mentre i prezzi del cibo sono saliti del 48%. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha già promesso lo stanziamento di 150 milioni di dollari in aiuti al Cairo.
Le sorti della Libia in cui si sta combattendo una guerra tra le forze del colonnello Moammar Gheddafi e dei ribelli arroccati nella parte est del Paese sono fondamentali per capire l’andamento del prezzo dei petrolio nei prossimi mesi. Il Paese è il più grande produttore dell’Africa ed esportava prima della crisi 1,6 milioni di barili al giorno. Se il prezzo del greggio è destinato a influenzare la crescita globale, come rivelato dalla Banca mondiale, anche la battaglia sul fronte e l’intervento della Nato hanno un costo preciso sulle casse dei Paesi alleati. Il Pentagono ha rivelato la settimana scorsa che l’operazione in Libia è costata alla Difesa americana dal 19 marzo al 4 aprile 608 milioni di dollari.
Per il nostro Paese, la crisi libica ha un costo anche a causa dell’emergenza immigrazione. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni unite, da quando è scoppiata la rivolta libica 500mila persone hanno lasciato il Paese. Dall’inizio dell’anno, dopo gli eventi tunisini, egiziani e libici, sono 25mila i clandestini approdati sulle coste italiane.

Ogni immigrato ospitato nei Cie sul territorio costa allo Stato 45 euro al giorno in vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Il governo ha assegnato al Fondo della protezione civile 30 milioni di euro per far fronte all’emergenza.

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