Politica

Prigionieri delle bombe 50 italiani

Sono ancora intrappolati a sud dove gli israeliani stanno colpendo strade e ponti. Il comando militare di Pisa: «I nostri aerei possono sfuggire ai missili»

Fausto Biloslavo

Altri 280 italiani sono pronti per essere portati via dall’inferno libanese, ma il problema è per la cinquantina di connazionali rimasti intrappolati a sud, là dove gli israeliani bombardano strade e ponti rendendo difficile muoversi. Solo a Tiro, una delle città del Libano meridionale, pesantemente attaccata, sono una decina gli italiani che vorrebbero rientrare in patria. «Stiamo valutando assieme agli altri Paesi europei, che hanno concittadini nel sud, un’operazione congiunta che permetta di garantire anche ai nostri connazionali una via d’uscita» dichiara Elisabetta Belloni, responsabile dell’Unità di crisi della Farnesina, che in collaborazione con il ministero della Difesa sta gestendo la crisi libanese.
In tutto gli italiani ancora presenti in Libano sono circa un migliaio e ieri 280 erano pronti a venire imbarcati sulla nave della nostra marina militare, Durand de La Penne, inviata a tutta forza verso le coste libanesi. Per motivi di sicurezza e per mancanza della luce verde ad attraccare a Beirut, l’evacuazione è saltata. I connazionali, comprese donne e bambini, si erano già concentrati all’ambasciata italiana. Il «rimpatrio», come i diplomatici preferiscono chiamare l’evacuazione da Beirut, potrebbe avvenire nelle prime ore di oggi.
La vera preoccupazione è per la cinquantina di italiani bloccati al sud dove i bombardamenti sono più aspri. Quelli sulla costa hanno maggiore possibilità di fuga, ma molti si trovano all’interno al momento irraggiungibile. Gli israeliani hanno distrutto, oltre alle postazioni di Hezbollah, i principali ponti e bombardato strade e incroci strategici. All’estremo sud nel piccolo centro di Naqura c’è la base avanzata dei caschi blu dell’Onu. Fra questi un reparto di elicotteristi italiani, che potrebbe dare un mano nell’evacuazione.
Gli italiani si sono mossi per primi con il rimpatrio via terra, fino in Siria, di 460 persone compresi alcuni cittadini di altre nazioni europee. Nella notte fra sabato e domenica due C130J dell’aeronautica militare hanno effettuato cinque missioni dall’isola di Cipro all’aeroporto siriano di Latakia per portarli in salvo. «Non molto lontano bombardavano e picchiavano, ma noi non abbiamo avuto problemi nei 35 minuti di volo fino a Larnaca (Cipro, nda)» spiega al Giornale il colonnello Franco Giuri, che ha coordinato l’operazione dalla base di Pisa della 46ª aero-brigata. «All’inizio ci avevano detto che dovevamo tenerci pronti a volare su Beirut. Mi è tornato in mente il 1982 quando atterrammo su una pista che aveva ancora le buche delle cannonate (durante la missione di pace italiana in Libano, nda)» racconta l’ufficiale.
«In ogni caso i nostri aerei hanno dei sistemi elettronici per poter sfuggire a un lancio di missili - spiega il colonnello Giuri ­. Però non manca l’emozione quando ti comunicano che a bordo ci sono 99 passeggeri e un neonato di pochi mesi». I velivoli erano pronti al decollo a mezzogiorno, ma fra bombardamenti e controlli al confine le operazioni di imbarco sono iniziate alle otto di sera e l’ultimo volo ha toccato terra a Larnaca alle 4.07 di domenica mattina. «I siriani ci monitorizzavano, come gli israeliani, ma godevamo della copertura diplomatica ­ rivela il comandante della 46ª ­. La gente era provata dai pericoli, dal viaggio e dalla lunghezza dei controlli.

Alla vista degli aerei italiani hanno tirato un sospiro di sollievo e all’atterraggio a Larnaca, finalmente al sicuro, è scoppiata la festa».

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