Washington - Perdere (bene) la gara con Obama, per vincere (male) la convention democratica di Denver e ottenere la nomination democratica. È questa la strategia di Hillary Clinton per sconfiggere in extremis Barack Obama, che dopo il successo di martedì è diventato il grande favorito.
La matematica, in realtà, condanna entrambi: nessuno dei due riuscirà a raggiungere il numero magico di 2025 delegati, che garantisce l’investitura. Ed è molto probabile che le primarie si concludano con Obama in testa. La domanda cruciale è: con quale margine? Se il senatore afroamericano arriverà forte di una maggioranza di 100 o più delegati, potrà rivendicare una chiara vittoria morale e per i superdelegati - eletti dal partito anziché dal popolo - sarà difficile negargli la nomination. Ma se lo scarto sarà ampiamente inferiore a 100, la Clinton potrà annunciare una parità sostanziale, aprendo nuovi scenari.
L’ex first lady deve assolutamente vincere le prossime tre primarie: nel Wisconsin, martedì prossimo, in Texas e nell’Ohio, il 4 marzo. E per ora ha buone possibilità di farcela; i sondaggi la danno in testa. Se così fosse resterebbe seconda, ma con un distacco minimo. E a questo punto scatterebbe la seconda parte del piano. Ieri intanto Hillary si è aggiudicata il caucus del New Mexico, con 73.105 voti contro i 71.396 di Barack Obama.
Hillary è incattivita e lo dimostrano gli spot al veleno diffusi ieri, in cui Barack viene descritto come un leader inconsistente, che nella sua carriera si è sempre mostrato incapace di mantenere le promesse fatte agli elettori. Di solito la «pubblicità negativa» non viene usata tra compagni di partito perché il suo impatto fortemente denigratorio impedirebbe che al secondo classificato venisse proposta la vicepresidenza. Ma l’ex first lady a questo punto se ne infischia del galateo è ha in serbo altre sorprese. Ad esempio, chiedere ai democratici di recuperare il risultato delle primarie nel Michigan e in Florida, due Stati che sono stati privati del diritto di eleggere delegati per aver anticipato le primarie contro il volere del partito.
Si votò in gennaio e la Clinton decise di presentarsi comunque in Michigan - mentre gli altri candidati invitarono a votare «contro tutti» - e poi vinse anche in Florida, dove però nessuno fece campagna. Insomma, furono due elezioni simboliche, di cui ora lei chiede la convalida. E non è difficile capire perché: con quei 213 delegati i rapporti di forza si ribalterebbero e l’ex first lady passerebbe in testa, ottenendo la nomination. Un colpo di mano all’apparenza assurdo e certo inaccettabile per Obama, ma tutt’altro che improbabile; anche perché a promuoverlo è, nell’ombra, l’ex presidente Bill Clinton, che nel partito conta ancora molto.
Insomma, in campo democratico la guerra rischia di diventare sporchissima, contrariamente che tra i repubblicani, dove la gara è sempre più limpida.
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