Il primo consiglio di guerra a teatro durante il Nabucco

Roma«Dio di Giuda, perdono!». È da poco iniziato il quarto atto del Nabucco e il grande baritono Leo Nucci intona la preghiera con cui il re babilonese implora il perdono per le sofferenze da lui stesso procurate al popolo ebreo. Un passaggio decisivo dell’opera ma proprio in quel momento Silvio Berlusconi è costretto a lasciare il palco. Ha un appuntamento per incontrare i sindacati dello spettacolo. Ma dopo una manciata di minuti arriva la notizia che il Palazzo di Vetro ha autorizzato «l’uso di qualsiasi misura necessaria» per proteggere i civili libici. È il segnale che, come in un gioco di ruolo, costringe le autorità presenti a svestire l’abito simbolico-mondano-istituzionale e a mettersi immediatamente al lavoro. Il premier convoca subito Ignazio La Russa e Gianni Letta in una sala accanto al foyer. Con loro molti alti gradi delle forze armate, compreso il capo di Stato maggiore della Difesa.
Intanto il coro e gli orchestrali urlano «Viva il presidente». Un grido al quale rispondono gli applausi di tutta la platea rivolti al palco reale dal quale il capo dello Stato applaude insieme alla signora Clio. Pochi istanti e l’improvvisato consiglio di guerra si arricchisce della presenza di Napolitano che attraversa il foyer, saluta i collaboratori dei ministri che compulsano i blackberry alla ricerca di notizie e assume il suo ruolo di capo supremo delle forze armate. Il vertice viene percorso da sentimenti diversi. Due su tutti: la sorpresa per l’ampiezza del mandato concesso dalla risoluzione e la preoccupazione per la prossimità geografica del teatro di guerra.
Il premier fa notare che ora la comunità internazionale sarà chiamata a un’assunzione di responsabilità rispetto all’emergenza profughi. La Russa sottolinea come la stella polare del ruolo italiano dovrà essere quello di pivot per gli aiuti umanitari. I militari rassicurano sulle limitate potenzialità missilistiche di Gheddafi. E Napolitano si informa sugli scenari possibili per la nuova Libia.

Il primo gabinetto di guerra tenuto sulle note di Giuseppe Verdi va avanti fino all’una. Ora in cui viene apposto il sigillo finale a una giornata di festa conclusa sul terreno di una inevitabile, legittima inquietudine.

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