«Perché un centro per medici e non uno, ad esempio, per baby sitter o camionisti?». È una provocazione - ma non solo - quella di Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze dell'Ats di Milano.
Che significa, dottor Gatti?
«Basta consultare i dati sulla diffusione delle droghe e sull'abuso di farmaci e alcol, per capire che parliamo di fenomeni trasversali. È da superare il cliché per cui si ritengono limitati a soggetti che vivono ai margini. Un terzo delle persone che seguiamo a Milano ha un lavoro stabile. Non sono sicuro che esista un modo di relazionarsi alla dipendenza o all'abuso di sostanze omogeneo e tipico per categoria professionale».
Perché è difficile far emergere tali problemi?
«Viviamo in una società contraddittoria che da una parte tollera o promuove consumi e atteggiamenti a rischio, dall'altra stigmatizza chi ha bisogno d'aiuto per ciò che ne consegue. Chiunque, in una fase della vita, può trovarsi con una patologia legata all'uso o abuso di sostanze. Lo stigma che ne deriva ritarda l'accesso ai servizi di cura».
A maggior ragione si nasconde chi ha molto da perdere.
«Abuso e dipendenza sono malattie, non vizi e andrebbero affrontate come tutte le altre patologie accettate socialmente. Se lo facessimo, la loro diffusione non provocherebbe tanti danni. Nascondersi o essere costretti a farlo è sempre un atteggiamento primitivo e perdente».
I programmi personalizzati non funzionano?
«Ogni programma deve essere personalizzato. Abbiamo bisogno, però, di strutture pubbliche in grado di offrire programmi differenziati su più livelli, in relazione alla diagnosi, per tipologia e intensità di cura. E di un sistema sociale e sanitario in grado di prevenire la cronicità, prima ancora di saperla gestire. Penso al percorso fatto per i tumori».
I tumori?
«Certo. Un tempo la parola cancro nemmeno si pronunciava. Oggi il cancro si previene e si cura. È normale fare screening preventivi e parlarne con il medico di famiglia.
Per le droghe e le dipendenze invece no. Perché? Eppure parliamo di patologie prevenibili e curabili, che colpiscono spesso persone giovani e attive. Tutto il sistema socio-sanitario deve affrontare diversamente il problema».CBas
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