Quattro giorni di camera di consiglio non sono bastati ai giudici dell'Ottava sezione penale del tribunale milanese per tirare le somme di un processo estremamente complicato, ma ancor più delicato per i personaggi che coinvolge e le implicazioni che porta con sè. Così la cancelleria ha comunicato che tutto slitta a dopo il weekend: solo alle 14 di lunedì, quando i tre magistrati usciranno dalle camere d'albergo dove sono rinchiusi in conclave dall'inizio di questa settimana, si conoscerà la sorte del generale Giampaolo Ganzer, comandante in capo del Ros, il reparto speciale dell'Arma dei carabinieri, e del suo ex braccio destro Mauro Obinu, attualmente in forza ai servizi segreti. Per Ganzer e Obinu, accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, la Procura di Milano ha chiesto una condanna pesante: ventisette anni di carcere a testa. Una richiesta che fa tanto più impressione se si considera che nè Ganzer nè Obinu sono mai stati accusati di avere guadagnato una lira grazie alla droga. Ma per la Procura non cambia niente: i due superinvestigatori avrebbero forzato aldilà di ogni limite ammissibile le norme sulle operazioni sotto copertura, sulle infiltrazioni e sulle consegne controllate. In sostanza, una fetta del Ros - sotto il comando dei due ufficiali - si sarebbe trasformato in una scheggia impazzita che pur di portare a termini brillanti operazioni di servizio, e ottenere così prestigio e promozioni, metteva in circolo imponenti quantitativi di cocaina, di cui - a volte - si sono perse le tracce.
Inchiesta interminabile e tormentata, quella sulle «deviazioni» del Ros, rimpallata tra procure diverse e magistrati diversi. Nata a Brescia, ad opera del pm Fabio Salamone, è approdata alla fine a Milano, nelle mani del pm Luisa Zanetti. Nel frattempo, Ganzer è rimasto al suo posto al vertice del Ros, a dirigere operazioni di estrema delicatezza, spesso proprio contro il mondo del narcotraffico, ma anche contro la corruzione e le commistioni tra politica e malavita. Nel suo ultimo intervento davanti ai giudici, lunedì scorso, prima che si ritirassero in camera di consiglio, l'alto ufficiale ha sottolineato proprio questo aspetto. «Se non fossi stato accusato di questi reati oggi sarei probabilmente il comandante generale dell'Arma, perchè ero il capocorso del comandante attuale». Ma il fatto di non venire promosso, ha aggiunto, mi ha consentito di rimanere al mio posto, nella trincea delle polizia giudiziaria, delle indagini, della lotta quotidiana al crimine organizzato più a lungo di qualunque altro ufficiale nella storia dell'Arma.
La lunga camera di consiglio testimonia di quanto l'esito del processo non sia scontato, e di come i giudici si trovino al bivio tra due strade entrambe impervie: o una pesante condanna, che colpirebbe uno degli uomini - che dall'epoca del terrorismo in poi - hanno fatto la storia della lotta alla delinquenza in Italia; o una assoluzione che sconfesserebbe anni e anni di indagini. Una via di mezzo, almeno per quanto riguarda le posizioni di Ganzer e Obinu, non c'è. Non è la prima volta che un tribunale si trova a dover giudicare investigatori accusati di aver superato la linea sottile che separa lo zelo investigativo dalla commissione di reati. Ma questo è il caso più eclatante, e quello destinato più di altri a fare da precedente.
Processo ai Ros, la sentenza slitta a lunedì: per Ganzer l'ora del giudizio
Chiusi da cinque giorni in camera di consiglio i giudici che devono pronunciare la sentenza contro il generale accusato di narcotraffico e i suoi coimputati. Per il numero 1 la procura ha chiesto 27 anni di carcere
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