Milano Pietro Ichino è un sopravvissuto e sa di esserlo. Erano in tre, in Italia, a occuparsi in prima linea delle riforme al diritto del lavoro, e gli altri due si chiamavano Massimo DAntona e Marco Biagi. Quando ieri mattina entra nella grande aula della Corte dassise di Milano, sa che nelle gabbie degli imputati siedono gli uomini che - secondo linchiesta del pm Ilda Boccassini - preparavano anche per lui la stessa sorte di DAntona e Biagi, ammazzati a sangue freddo. Tempo fa con loro Ichino aveva cercato un dialogo, senza successo. E ieri si capisce in fretta che il clima non è cambiato.
Si scopre che per la nuova generazione della lotta armata Ichino è ancora un nemico. Appena il tempo per il senatore del Pd di andare a sedersi davanti ai giudici e di iniziare a spiegare perché si è costituito parte civile nel processo, e dalle gabbie parte la sarabanda. Nessuna - è il caso di precisarlo - minaccia di morte, ma bordate di insulti carichi di disprezzo. Parte Davide Bortolato, leader degli irriducibili, lo seguono gli altri duri, Alfredo DAvanzo, Vincenzo Sisi. «Quello è un massacratore di operai», «Siete una banda di sfruttatori, volete la libertà per sfruttare». In aula è il caos, la Boccassini chiede di sgomberare le gabbie, gli imputati continuano a gridare, gli avvocati cercano di mediare in qualche modo. Alla fine il presidente della Corte Luigi Cerqua ordina agli agenti di portare via i detenuti. Ma non è finita, quando finisce la sua deposizione Ichino viene affrontato dagli amici degli imputati, «massacratore», «maiale».
Nel pomeriggio ad Ichino arrivano decine di messaggi di solidarietà dallintero mondo politico. Tra questi una telefonata del presidente del Senato, Renato Schifani e un messaggio del presidente della Camera, Gianfranco Fini.
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