Roma

Processo Cesaroni: i dubbi dei Pm sull’alibi di Busco

Processo Cesaroni:  i dubbi dei Pm sull’alibi di Busco

Per la prima volta da quando è cominciato il processo per la morte di Simonetta Cesaroni nell’aula della III Corte d’Assise si è parlato un’intera udienza di Raniero Busco, ex fidanzato della vittima ed unico imputato. Finora si era discusso d’altro, molto dell’allora portiere dello stabile del delitto Pietrino Vanacore e del datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi. Ora i giudici hanno affrontato il delicato argomento dell’alibi di Busco, che non ha mai convinto del tutto gli inquirenti. A ricostruire le indagini condotte per verificarlo è stato il maresciallo dei carabinieri Flora De Angelis. Racconta del primo alibi fornito dall’imputato, che inzialmente disse di aver passato il pomeriggio del 7 agosto del 1990 in compagnia di Simone Palombi, un amico che però smentì la circostanza. Nel 2004, però. «Ci disse - racconta il maresciallo - che quel giorno era a Vallecorsa al capezzale di una zia suora in fin di vita e di essere tornato a Roma alle 19,45». In seguito Busco cambiò versione e assicurò che il giorno del delitto era nel garage di casa a riparare un’auto. Quattro persone lo avrebbero visto. In realtà, puntualizza il carabiniere, «due di queste hanno asserito di non ricordare di averlo visto, le altre due hanno invece confermato». Queste ultime, però, sono due amiche della mamma di Busco, intercettate il giorno prima di essere sentite dagli inquirenti mentre si confrontavano sull’orario in cui avrebbero visto l’imputato, accordandosi sul punto e tranquillizzando la mamma di Raniero. L’avvocato Paolo Loria è categorico: «Non ci sono dubbi: il pomeriggio del delitto Busco stava lavorando su una macchina a casa. Ci sono persone che possono testimoniarlo e le intercettazioni di queste persone che parlano dell’orario in cui l’hanno visto non significano nulla: sono state fatte oltre vent’anni dopo il delitto e cercavano di ricordare quanto accaduto all’epoca. Alle 18,30, poi, Busco è andato al bar Portici dove l’hanno visto in tanti. In questo processo ci sono una marea di dubbi, c’è un velo di omertà, sembra di essere in Sicilia». Il maresciallo De Angelis ripercorre le indagini svolte dal 2004. Ricorda gli accertamenti effettuati sulle telefonate ricevute la sera del delitto da Mario Macinati, il factotum di Francesco Caracciolo di Sarno, e sulla strana agitazione di Volponi il 7 agosto, poco prima che venisse scoperto il cadavere di Simonetta negli uffici dell’Associazione italiana alberghi della gioventù. E poi le verifiche negative sul presunto accesso al videotel (l’antenato delle chat) da parte della Cesaroni e sulla presunta nuova frequentazione della vittima con un cugino di Genzano. Si è parlato anche di una gita al mare fatta da Simonetta con un’amica il giorno prima di morire: mentre si stavano cambiando l’amica avrebbe notato che sul corpo di Simonetta non c’erano lividi o segni, stessa circostanza osservata la stessa sera dalla madre. Ed è un dettaglio importante, visto che Busco si trova sul banco degli imputati perché l’impronta di un morso rilevata sul seno sinistro della vittima coincide con l’arcata dentaria di Busco. Per i magistrati il morso sarebbe coincidente con il momento del delitto, non precedente. Moltissime le indagini con esito negativo effettuate nel tempo. Tra le tante quelle sul presunto coinvolgimento nella vicenda dei servizi segreti. «Una circostanza che si è rilevata del tutto infondata», assicurano i carabinieri.
In aula ieri ha fatto la sua comparsa virtuale Giuseppa De Luca, la moglie di Vanacore, il portiere di via Poma che si è suicidato lo scorso marzo. I giudici hanno ascoltato una conversazione della portiera mentre parla la telefono con la figliastra Anna nel 2008, l’indomani di una perquisizione dei carabinieri nella loro casa di Monacizzo alla ricerca dell’agendina rossa che Vanacore avrebbe dimenticato sulla scrivania dell’ufficio quando venne ritrovato il cadavere.

«Mentre noi ci disperiamo - diceva Peppa - chi l’ha fatto sta bello libero e se la ride alle nostre spalle».

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