Via al processo contro le Br Centri sociali pronti all’assalto

da Milano

Arrivano in queste ore a San Vittore, dalle carceri di tutta Italia, i detenuti, gli uomini della nuova leva delle Brigate Rosse catturati nel febbraio dello scorso anno. E a Milano arrivano da tutta Italia fiancheggiatori e simpatizzanti chiamati a raccolta dal tam tam di Internet e dei centri sociali. Si ritroveranno questa mattina nella grande aula della Corte d’assise: gli irriducibili in gabbia, i loro compagni in aula e all’esterno, su corso di Porta Vittoria, guardati a vista da un robusto schieramento di sicurezza per il primo grande processo alla terza generazione brigatista, quella nata all’indomani dei delitti D’Antona e Biagi. «Gli arrestati sono delegati conosciuti sui posti di lavoro, compagni di movimento, militanti comunisti rivoluzionari» dicono i volantini circolati nei giorni scorsi. A lanciare la catena di solidarietà il consueto circuito: da Indymedia a Soccorso Rosso Internazionale, dal centro sociale Gramigna di Padova (sgomberato nel luglio scorso ma ancora attivo) alla rete operaista attiva in Piemonte, che nei giorni scorsi si è segnalata per un particolare attivismo nel volantinare sui luoghi di lavoro a favore degli inquisiti milanesi. Digos e Nucleo Informativo dei carabinieri stanno monitorando con attenzione da giorni l’attività dell’area del «movimento» contigua agli arrestati. L’obiettivo non è tanto quello di prevenire improbabili violenze, quanto quello di inquadrare con maggiore precisione i rapporti tra il magma antagonista e il gruppo degli arrestati, accusati dalla Procura milanese di avere compiuto il grande salto, di avere attraversato il confine - sottile ma preciso - che separa la disobbedienza di massa dall’attività terroristica organizzata.
Sedici gli imputati, accusati dal sostituto procuratore Ilda Boccassini di avere lavorato alla costituzione del Pcpm, il Partito comunista politico militare. La maggior parte, dopo la retata del 12 febbraio 2007, ha ottenuto gli arresti domiciliari. In cella sono rimasti il gruppo dei «duri», quelli che dopo l’arresto si sono dichiarati prigionieri politici (Claudio Latino, Vincenzo Sisi, Davide Bortolato e Alfredo Davanzo) e che ciò nonostante continuano a essere oggetto di dichiarazioni di solidarietà: sul sito di Secourse Rouge International viene rivendicata come una vittoria della «mobilitazione» il fatto che Davanzo sia stato tolto dall’isolamento carcerario e si rilancia l’appello a essere «tutti presenti a Milano il 27 marzo». Appelli vengono lanciati anche a favore di Michelino Magon, l’unico del gruppo a venire indagato in un procedimento separato, e per il quale oggi la Procura chiederà che il fascicolo venga riunito a quello principale.
A presiedere la Corte d’assise sarà il giudice Luigi Cerqua, un magistrato di polso ma con fama di garantista scrupoloso. Cerqua sarebbe intenzionato oggi a entrare comunque nel vivo del processo, dando la parola alla Procura per la richiesta delle prove a carico degli imputati.

Tra questi, oltre agli elementi raccolti dalla Digos milanese nel corso dell’indagine, c’è anche la testimonianza del primo «pentito» della nuova leva terrorista: è Valentino Rossin, il dipendente dell’ufficio postale di Abano Terme, che il giorno stesso dell’arresto, mentre lo chiudevano nel carcere di Bollate, chiese di poter parlare con un funzionario della polizia politica. E, una volta portato davanti al pm Boccassini, raccontò per filo, per segno e per calibro i trasporti di armi - Uzi, Skorpion e kalashnikov - cui era stato adibito da Bortolato e compagni.

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