Il processo Dsk fa flop ma le vetero femministe: l’uomo sempre colpevole

Il processo contro l'ex direttore del Fmi fa flop, ma c’è chi non s’arrende. Alle intellettuali italiane la richiesta d’archiviazione è indigesta: va condannato comunque

Il processo Dsk fa flop 
ma le vetero femministe: 
l’uomo sempre colpevole

Della vicenda di Dominique Strauss-Kahn dopo la fase in cui la prepotenza della legge e un’oscura ragione di Stato hanno trasformato un presunto innocente (posizione che nessuno ha considerato) in un presunto colpevole, colto in flagranza di reato (quale non fu, nonostante l’unanime condanna), resta per me sorprendente l’accanimento di alcune donne nel considerarlo comunque colpevole, contro ogni evidenza. La verità finale la sapremo (ieri la procura di Manhattan ha chiesto l’archiviazione di almeno una parte delle accuse contro l’imputato), le bugie della donna le abbiamo già sapute.

E rivelano un quadro che esclude le responsabilità per le quali Strauss-Kahn è stato oggetto di un impressionante linciaggio mediatico. Solo per questo, anche se il processo non è ancora stato celebrato, gli deve essere riconosciuto il diritto costituzionale alla presunzione di innocenza. E di lì ripartire, ad armi pari.
Esiste invece uno stereotipo per cui la donna è sempre vittima, tanto più in circostanze come queste. Così lo stravolgimento dei fatti e il rimescolamento delle carte non sono sufficienti, non dico a riabilitare, ma a considerare le ragioni di Strauss-Kahn, per quattro donne di cui ho letto le riflessioni dopo il clamoroso colpo di scena.

La prima è Erica Jong, per cui Strauss-Kahn è comunque colpevole. Poco contano le bugie della donna, l’uomo ha torto in quanto uomo: la posizione vetero-femminista che sfiora il ridicolo ci mostra una giustizia americana succuba del maschio e del potere, contro l’evidenza dell’azione colpevolista, e di ipergaranzia per la donna, della fase iniziale, con l’arresto immediato dell’uomo dopo la denuncia, senza verifiche né testimoni. Perché la Jong non si chiede come mai non ci furono dubbi ed esitazioni nell’incriminarlo e nell’arrestarlo? Le garanzie sono intervenute solo in un secondo momento, dopo la verifica delle clamorose e acclarate menzogne della donna. Ci si dovrebbe chiedere perché i riscontri non furono fatti subito risparmiando a Strauss-Kahn il calvario dell’universale sputtanamento. E ciò vale non per un uomo o per una donna, ma per la «persona».

La conclusione incredibile e faziosa della Jong è invece: «Il fatto che una povera disgraziata abbia pensato di trarre vantaggio dalle proprie sventure è comprensibile».
Ma lo schieramento contro il maschio supera ogni limite nelle posizioni di tre italiane intellettuali, unanimi nella condanna senza processo così come si sono dichiarate sul Fatto qualche giorno fa. C’è da avere paura, e da evitarle sul piano umano e anche nel confronto. Sono Flavia Perina, Lidia Ravera e Caterina Soffici. La prima svela «antichi modelli»: le menzogne di Ofelia non sono condannabili, perché «realizzano il sogno di tutti gli avvocati difensori: dimostrare che le donne la violenza sessuale se la cercano con comportamenti ambigui o se la inventano per motivi ricattatori». Il che vuol dire che se una cosa come questa accade non bisogna tenerne conto. Per difendere, sempre e comunque, la condizione di vittima della donna.

Così la seconda, Lidia Ravera, rivela «paradossi»: «Dopo l’esemplare punizione che trascinerà nel fango la cameriera forse bugiarda e forse no, staremo ancora più zitte. Saremo ancora più sole». Come dire: peccato che l’abbiano scoperta, perché questo limita la nostra possibilità di lamentarci coralmente, al di là delle situazioni singolari, come se la colpa dell’uomo fosse legata alla sua natura di maschio e non alle sue responsabilità. Gli uomini sono nemici delle donne.
La terza, Caterina Soffici, che viene da una cultura di destra, sottolinea le «imperfezioni» per cui la realtà è colpevole di essere tale, ancora una volta - posizione condivisa dalle tre donne - e l’uomo merita di essere punito in ogni caso. Non c’è colpevole di quanto ha fatto, ma maschio colpevole e femmina innocente. Per difendere questo principio, la Soffici arriva a questa suggestiva conclusione, valida solo per il genere maschile: «Io credo che nel nostro mondo imperfetto, se una percentuale di errore è ineliminabile dal sistema, è preferibile che un presunto stupratore con precedenti di molestie e notorio puttaniere finisca dietro le sbarre per un errore giudiziario piuttosto che un presunto reato di stupro rimanga per errore impunito».

La Soffici, da destra, ha adottato integralmente il modello culturale del giornale su cui ora scrive, ribaltando il principio giuridico-liberale per cui è preferibile un colpevole in libertà che un innocente in galera. Retaggio fascista? No: qualcosa di più. Convinzione del peccato originale di nascere uomini. Un «precedente» incancellabile!
Di fronte a posizioni come queste, bisogna concludere che ha ragione la Ravera: donne così, meglio lasciarle sole. Da qui forse deriva la sempre più vasta diffusione dell’omosessualità maschile, nella quale non si registrano stupri ma atti condivisi.

Forse Strauss-Kahn, ricco e potente, si sarebbe trovato meglio con un nero, povero e sincero.

Come sarebbe stata la storia fra due maschi? O fra due donne, una bianca e ricca, un’altra nera e povera? Alla prossima puntata. In attesa delle serene riflessioni di Perina, Ravera e Soffici, non resta che confessarci colpevoli di esistere.

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