Procreazione, Rutelli contro Mussi: «Quella legge non sarà modificata»

Il ministro della Ricerca sconfessato dal vicepremier. Il silenzio di Prodi

Laura Cesaretti

da Roma

Il colpo d’occhio è surreale: l’aula di Montecitorio zeppa di pre, post e neo Dc, separati dai banchi tra governo e opposizione ma uniti nello spirito. La Cdl che applaude al vicepremier dell’Ulivo Rutelli per aver «sconfessato» il ministro dell’Ulivo Mussi. Qualche socialista, radicale o Verde che difende a spada tratta Mussi mentre il suo partito (i Ds) tace. Come Prodi, che si limita a far sapere per via indiretta che la questione staminali «non è nel programma di governo» e quindi non c’è nulla da dire. Gli altri ministri che svicolano o si arrampicano sugli specchi per dimostrare che una linea comune c’è, e che «Rutelli e Mussi dicono la stessa cosa», come giura il titolare dei Rapporti col Parlamento Chiti. La ministra della Sanità Turco (cattolica, naturalmente) che si affretta a rassicurare Ruini e le sue truppe: «Nessuna ripercussione sulla legge per la procreazione assistita, che resta in vigore nella sua integralità». Peccato che l’ala laica dell’Unione, Rosa nel pugno in testa (e anche gran parte dei Ds) voglia invece «cambiarla radicalmente», come promette Daniele Capezzone: «Per noi è una priorità irrinunciabile, e visto che nel programma non c’è scritto nulla siamo liberi di provarci». L’unica ministra che si scalda, preoccupata dal trasversale e «difficilmente aggirabile» muro cattolico contro cui rischia di bloccarsi ogni scelta di «modernità e progresso» anche in campo scientifico, è Barbara Pollastrini (Ds, Pari opportunità): «Penso che Mussi abbia compiuto un atto di serietà e reso un servizio al Paese», dice con voce ferma, «non possiamo fare scelte che tagliano l’Italia fuori dalla ricerca».
Al suo debutto con il question time parlamentare, il botta e risposta tra governo e deputati sulle questioni del giorno, l’esecutivo Prodi si ritrova subito una patata bollente tra le mani: la decisione del ministro della Ricerca Fabio Mussi di togliere il veto italiano alla ricerca sulle cellule staminali, che ha suscitato gli anatemi del mondo cattolico e di tutta l’ala clerical della Margherita. Ed è proprio al leader della Margherita Rutelli che tocca, in quanto vice di Prodi, gestirla in aula. Con una certa abilità, va riconosciuto, vista la scivolosità di un tema che spacca a metà non solo l’Unione ma lo stesso Ulivo Ds-Dl: «Ho avuto solo mezz’ora per prepararmi», sospira lui prima di salire sul banco del governo: giusto il tempo di un confronto col Ds Chiti, per limare un compromesso spendibile. Spiega Rutelli che la decisione di Mussi «non cambia la legislazione italiana che è in vigore», quindi nessuna messa in discussione della norma sulla fecondazione assistita che vieta la ricerca sugli embrioni, ma incide solo sulle scelte europee: «È sconsigliabile una posizione unitaria Ue, perché è evidente che le legislazioni nazionali sono differenti». E la «minoranza» dei Paesi che hanno «finora bloccato gli sviluppi della ricerca sulle staminali, sulla base delle loro convinzioni, si sono trovati ad interferire con le posizioni opposte di altri 15 o 16 Paesi». Dunque niente veti, ogni Paese si regoli come vuole. Ma per quanto riguarda l’Italia, ogni decisione su «materie tanto sensibili» va rinviata alla «collegialità» del governo: quindi tutti d’accordo (cosa che non avverrà mai) oppure nulla. Gli replica in aula l’ex presidente della Camera Casini, che tuona: «La scelta del ministro Mussi è molto grave. Prendo atto che lei, nella sua veste di vicepremier, non l’ha difesa». Intanto da Bruxelles arriva una scomunica di Mussi firmata dagli eurodeputati Dl (c’è anche un fratello di Prodi): «Giù le mani dagli embrioni», il succo. E il rutelliano Lusetti stigmatizza: «Mussi ha sbagliato».

Nei corridoi romani, i Ds - che con Rutelli dovrebbero fondersi in un unico partito - sono in fibrillazione: «Mussi è attaccato da mezza coalizione, oltre che dalla Cdl, e i Ds tacciono? La verità è che ogni mediazione su queste materie è praticamente impossibile», ragiona il Ds Caldarola, «e per il Partito democratico la vedo molto dura...».

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