Milano - E alla fine si scoprirà che era solo la punta dell’iceberg. E che il diluvio si qui apparecchiato altro non era che una leggera pioggia di primavera. Non bastavano le 389 pagine dell’invito a comparire recapitato al presidente del Consiglio, transitato alla Giunta per le autorizzazione della camera, e finito sulle pagine di tutti i quotidiani. C’è ben altro. E molto di più. Perché la procura di Milano ha giocato a carte coperte, e si è tenuta il jolly. Quello che è emerso del «Ruby-gate», finora, è solo una parte del lavoro svolto dagli inquirenti. Così, la «pistola fumante» che avrebbe indotto i pm a chiedere il giudizio immediato per il premier potrebbe non essere stata ancora svelata. In fondo, l’aveva detto lo stesso procuratore Edmondo Bruti Liberati. «Altre prove? Le tengo per me». Quelle prove, quindi, potrebbero essere nell’enorme faldone che il pool Boccassini-Forno-Sangermano invierà al gip una volta sciolta la riserva dei legali del Cavaliere sull’opportunità o meno di presentarsi in procura (e proprio oggi dovrebbe arrivare a Bruti la comunicazione dei legali in merito). Le quasi 400 pagine ormai pubbliche, infatti, rappresentano solo una parte del materiale raccolto dagli investigatori. Che al giudice per le indagini preliminari presenteranno un plico ben più corposo. Al momento, qualcosa come 1.200 pagine. Il punto cruciale è: cos’ha in mano l’accusa?
I magistrati, ovviamente, non si sbottonano. Ma nei corridoi del palazzaccio milanese si sentono con le spalle coperte. E circola una battuta: «Poteva uscire di peggio». Se a molti è sembrato che nell’invito a comparire mandato a Berlusconi non ci fosse la «prova schiacciante» dei presunti rapporti sessuali del premier con l’allora minorenne Ruby, quindi, è possibile che nelle 900 pagine ancora da svelare ci siano elementi tali da rafforzare il convincimento dell’accusa. Altre telefonate, gli interrogatori della marocchina (non riportati nel documento spedito alla Camera), nuove testimonianze, le «risultanze investigative» emerse in seguito alle ultime perquisizioni, come nuovi documenti bancari e contabili. Non dovrebbero esserci, invece, le intercettazioni indirette che hanno coinvolto Berlusconi. In cinque o sei casi, come ha riportato ieri il Corriere della Sera, la sua voce è stata ascoltata dagli inquirenti, nel corso di conversazioni con alcuni dei personaggi coinvolti nell’inchiesta. A quanto sembra, però, mai con Ruby. E il fatto che questo materiale sia ancora «silente», è dovuto al fatto che alla Camera è stato inviato solo l’atto che era destinato alla difesa del presidente del Consiglio.
Ovvero, quello contestuale al decreto di perquisizione degli uffici di Giuseppe Spinelli, amministratore del portafoglio privato del Cavaliere, «respinto» su indicazione dell’avvocato Ghedini. In pratica quanto - secondo la procura - era sufficiente che gli avvocati del premier sapessero. Ma a questo punto è chiaro. Non era tutto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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