"Affermazioni sorprendenti". "Passaggi non chiari". E l'accusa di essersi adagiata sulle posizioni del governo. Non sono teneri i pm milanesi con la Corte Costituzionale. Il processo per il rapimento Abu Omar - l'imam estremista prelevato dalla Cia a Milano nel febbraio 2003 - si conferma un terreno di scontro tra potere politico e potere giudiziario. La decisione della Corte Costituzionale di confermare il segreto di Stato - invocato prima da Prodi e poi da Berlusconi - su molti aspetti della vicenda ha fatto pendere indubbiamente le sorti della vicenda a favore del governo. Ma oggi, nell'aula della Quarta sezione penale del tribunale milanese, la Procura va all'attacco: il processo a 26 funzionari della Cia e ai loro colleghi italiani del Sismi (in testa al gruppo, l'ex direttore Nicolò Pollari e l'ex capo del controspionaggio Marco Mancini) deve andare avanti, perché le accuse possono reggersi anche senza gli elementi che la Consulta ha dichiarato inutilizzabili in quanto coperti da segreto.
Il primo a partire all'offensiva è il procuratore aggiunto Armando Spataro: "Siamo in una situazione kafkiana. Il mondo cambia, in America si rivelano segreti, il presidente Obama rende pubblici memorandum che riguardano le stesse vicende di cui ci occupiamo in questo processo, rendition (cioè i rapimenti della Cia, ndr) e torture; mentre questo accade nel paese guida del mondo, da cui provenivano numerosi imputati di questo processo, da noi i segreti si allargano a dismisura". Spataro definisce "affermazioni sorprendenti" i passaggi della sentenza in cui la Corte Costituzionale ritiene che il rapimento di Abu Omar - anche se non condivisibile - non costituì comunque un fatto eversivo dell'ordinamento costituzionale. Non è consueto che un magistrato attacchi così platealmente le decisioni del massimo organo giurisdizionale del paese, ma intorno al caso Abu Omar ormai si combatte uno scontro che giustifica questa e altre asprezze.
In ogni caso la Procura ritiene di poter andare avanti per la sua strada e andare verso la sentenza: sia nei confronti degli agenti Cia ("sulla responsabilità degli yankee c'è ampia dimostrazione negli atti") sia nei confronti dei loro interlocutori italiani, i capi e i quadri del Sismi che avrebbero dato il via libera ai colleghi a stelle e strisce. I difensori di tutti gli imputati, prima che prendesse la parola la Procura, avevano sostenuto invece che la conferma del segreto di Stato investe a pioggia tutto il processo imponendone l'azzeramento: o con la restituzione degli atti alla Procura per ricominciare da capo, o con l'assoluzione in blocco.
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