Procura, la rivolta dei finanzieri: «Pagateci di più». Ma il Tar gli dà torto

Gli investigatori delle fiamme gialle che collaborano con i pubblici ministeri fanno causa alla Gdf: «Vogliamo l'indennità di trasferta». Niente da fare: «Non è un lavoro pericoloso».

A un comune cittadino, la lettura dell'elenco dei firmatari non direbbe assolutamente nulla. Ma per chi vive dall'interno la giustizia milanese, ed in particolare quel microcosmo un po' a parte che è la Procura della Repubblica, i nomi dei militari della Guardia di finanza che hanno fatto ricorso al Tar fa un certo effetto: perchè, in ordine rigorosamente alfabetico, vi compaiono praticamente tutti gli investigatori che in questi anni hanno fatto la storia delle indagini della Procura milanese sulla criminalità economica. Sono i finanzieri della sezione di polizia giudiziaria: brigadieri e marescialli distaccati dal loro reparto per lavorare fianco a fianco con i pubblici ministeri. Dei pm, spesso, diventano una sorta di alter ego, tra magistrato e investigatore si crea un rapporto di simbiosi in cui spesso è difficile capire chi guida e chi viene guidato. Nella caotica vita quotidiana della Procura, con i fascicoli che si accumulano a velocità impressionante sui tavoli dei sostituti procuratori, sono quasi sempre gli uomini della polizia giudiziaria a fare il primo filtro, scremando le notizie di reato irrilevanti e fantasiose (e ce ne sono tante!) da quelle su cui vale davvero la pena di indagare. E che a volte investono questioni di rilievo economico gigantesco.
Insomma, un ruolo cruciale. Per il quale adesso i militari della Gdf sostengono di essere pagati troppo poco. Così nel 2008 si sono rivolti al Tar della Lombardia chiedendo che venga loro corrisposta l'indennità di servizio esterno, un po' di quattrini in più che - in base ai regolamenti della Finanza - spetta ai militari inviati a svolgere le loro mansioni fuori dal reparto di appartenenza. Il ragionamento degli investigatori è questo: la nostra sede naturale di lavoro sarebber il comando del nucleo di polizia tributaria in via Filzi, siccome invece siamo collocati stabilmente alla Procura, in via Freguglia, ci spetta l'indennità.
Ma la sentenza depositata ieri dai giudici della Terza sezione del Tar dà torto ai ricorrenti, e con una motivazione che forse suonerà lievemente indigesta ai firmatari. É ben vero, dice la sentenza, che l'indennità spetta, secondo i regolamenti, in molti casi: per esempio, al personale «impiegato nei servizi organizzati in turni e sulla base di ordini formali di servizio che esercita precipuamente attività nel campo della verifica e controllo per il contrasto all'evasione fiscale e di tutela degli interessi economico finanziari, svolti all'esterno dei comandi o presso enti e strutture di terzi» o che «eserciti precipuamente attività di tutela, scorta, traduzioni, vigilanza, lotta alla criminalità, nonché tutela delle normative in materia di lavoro, sanità, radiodiffusione ed editoria, impiegato in turni e sulla base di ordini formali di servizio svolti all'esterno dei comandi o presso enti e strutture di terzi».

Ma il lavoro in Procura non è assimilabile a questi casi, perché l'indennità è «destinata a compensare solo le condizioni di particolare disagio o pericolo sopportato dal personale chiamato ad operare al di fuori della propria sede di lavoro e in ambito esterno».
Insomma, scavare sulle malefatte dei signori dell'economia è meno rischioso e faticoso che occuparsi di antinfortunistica. Quindi, dice in sostanza il Tar, accontentatevi dello stipendio base.

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