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Il procuratore antidoping «I ciclisti adesso sono un esempio per lo sport»

Negli ultimi anni fatti passi da gigante

Il procuratore antidoping «I ciclisti adesso sono un esempio per lo sport»

«Tutti i ciclisti sono oggi un esempio per lo sport italiano». C'è una bella differenza da quel terribile «tutti i ciclisti sono dopati», frase pronunciata dal capo della Procura Antidoping del Coni Ettore Torri un anno fa, il 5 ottobre del 2010.
Non è una marcia indietro, ma una presa di coscienza. «Oggi è giusto riconoscere a questo sport quello che ha saputo fare in questi anni, soprattutto nell'ultimo anno - ci dice Ettore Torri, incontrato a Faenza sabato pomeriggio, in occasione di un convegno sul tema organizzato dall'Associazione medici del ciclismo e dall'Assocorridori -, a dieci anni dall'introduzione della legge antidoping. Il fenomeno doping nel ciclismo professionistico è in forte diminuzione, ma tra i dilettanti e gli amatori la situazione resta drammatica».
Una notizia confortante per il mondo professionistico, per uno sport che sembrava essere incapace di cambiare passo.
«Quando ho iniziato sei anni fa a lavorare come procuratore la situazione era drammatica - prosegue Torri -. Trovai un mondo che viveva nell'inganno e nell'illecito. Oggi posso dire che c'è stato un cambiamento radicale. Devo dire che il ciclismo in questi anni ha fatto tanto, attrezzandosi e adottando esami e controlli sempre più efficaci e all'avanguardia. Ha accettato di farsi controllare 24 ore su 24, 365 giorni all'anno e ha introdotto il passaporto biologico, che è un fiore all'occhiello per la lotta al doping. Il ciclismo oggi è un format che può essere esportato e preso ad esempio. Bravi loro, e quando dico loro mi riferisco a Uci, Federazione, corridori, squadre, tutte le componenti. Bravi però anche noi del Coni e della Procura che abbiamo tracciato una via chiara e ferma».
Qual è il segreto di questa presa di coscienza?
«È venuto meno l'interesse di doparsi. Prima i controlli erano pochi e le pene lievi, quindi la cosa più semplice che un corridore poteva fare era quella di doparsi. Oggi i controlli sono serratissimi e le pene molto pesanti: chi viene pescato con le mani nella marmellata rischia davvero la carriera, quindi il gioco non vale più la candela».
Tutto bene, quindi?
«Ripeto, tutto bene per il mondo del professionismo, non posso fare lo stesso discorso per quello amatoriale e giovanile dove l'allarme è altorosso. Forse mancano i fondi per intensificare i controlli, ma lì il problema è ben lontano dalla soluzione. Famiglie disposte a dopare i figli perché li vogliono vincenti e famosi. Padri e madri che si dopano a loro volta per vincere la corsetta di paese, dove in palio c'è il prosciutto o il salame. Qui c'è da fare ancora tanto».
Il pm Roberti ha anche auspicato il miglioramento della legge.
«E ha ragione. La legge vigente è buona, molti paesi esteri ce la invidiano, ma va migliorata. La repressione è indispensabile, ma non basta.

Serve una riforma culturale che si rivolga soprattutto ai giovani e una normativa internazionale unica».

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