Prodi difende Visco solo a metà E Di Pietro fa marcia indietro

Il premier rassicura l’ex pm: le deleghe non verranno restituite al viceministro

da Roma

Indietro tutta. Non è il fortunato programma di Renzo Arbore, ma la strategia politica dell’Italia dei valori nei confronti della mozione del presidente dei senatori Udc D’Onofrio che sarà discussa a Palazzo Madama mercoledì prossimo e che prevede il ritiro permanente della delega del viceministro Visco sulla Guardia di finanza.
«Ci sono tre punti - ha spiegato ieri il capogruppo dei senatori Idv Aniello Formisano - su cui vogliamo essere chiari. Primo, sicuramente non votiamo la mozione della Cdl. Secondo, tentiamo di evitare la presentazione della nostra mozione che possa diventare strumento in mano alla Cdl. Terzo, il problema politico resta». L’atteggiamento dell’esponente dipietrista appare inspiegabile se si considera che appena ventiquattr’ore prima lo stesso Formisano aveva costretto la sua maggioranza a votare all’unanimità sulla calendarizzazione della mozione D’Onofrio pur premettendo che «non si lavora per far cadere il governo».
Ma, in realtà, una spiegazione c’è. E bisogna partire dal bailamme di martedì scorso. Se una resipiscenza di Di Pietro c’è stata, non è sicuramente dipesa dalla chiamata del segretario ds Fassino che ha telefonato al ministro delle Infrastrutture per perorare calorosamente la causa del viceministro: «Se cade Visco, i Ds fanno saltare tutto». Piuttosto ha pesato il confronto tra i deputati e i senatori dell’Idv e il loro leader che con una lettera al Corriere aveva riaperto la questione. Ma soprattutto ha inciso la «testardaggine» del premier Prodi che non solo aveva contattato Di Pietro già nel corso della sua trasferta newyorkese, ma appena rientrato in Italia lo ha convocato a Palazzo Chigi per un faccia a faccia.
L’incontro ha sicuramente avuto valenza risolutiva perché nel pomeriggio di ieri lo scenario è mutato. Prima il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi, ha assicurato che la questione Visco non sarebbe stata sollevata al vertice di maggioranza. Poi Di Pietro stesso nel question time ha sottolineato che in Finanziaria ci sarà spazio per il suo piano-casa come garantitogli da Prodi. Infine l’annuncio ufficiale di Formisano che al Giornale spiega così l’esito del confronto: «Fino a mercoledì prossimo ci saranno degli atti politici che condizioneranno la vicenda». In buona sostanza, Prodi ha ribadito che Visco non sarà difeso a oltranza e che la delega sulla Gdf non gli dovrebbe essere restituita. Con buona pace dei Ds.
«Al governo restiamo finché c’è Prodi», aggiunge il capo della segreteria Idv, Stefano Pedica, precisando che «non si è fatto altro che trasformare in dibattito politico quello che dice la gente e quello che registra la magistratura, ossia il comportamento illegittimo di Visco nei confronti dell’ex comandante generale della Finanza Speciale». Caso chiuso, quindi? Per il momento sì, salvo improbabili impuntature diessine o della sinistra radicale che ancora ieri con il ministro Ferrero («È uno dei migliori esponenti del governo e lo vogliono silurare perché ha disturbato troppo i poteri forti») è tornata a difendere l’operato del viceministro.
Contestualmente, il «gioco» della Cdl diventa più complicato. Il capogruppo di Fi al Senato, Renato Schifani, si è limitato ad augurarsi «coerenza da parte di Di Pietro».

La fragilità della maggioranza lascia tuttavia ampi margini di manovra. Come dimostrato dalla convergenza tra Alemanno (An) e il ministro delle Infrastrutture sul taglio dei costi della politica. Fino a quando Prodi avrà fiato per rincorrere i vari «microrganismi» parlamentari?

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