Laura Cesaretti
da Roma
Non è passata neppure una settimana dal giuramento dei suoi ministri, e già Romano Prodi, se potesse, ne restituirebbe volentieri al mittente una buona parte. Ieri mattina la lettura dei giornali e delle paginate di polemiche sulle variopinte esternazioni degli uomini di governo gli deve aver mandato di traverso il caffellatte. Poi di buonora il viceministro Vicenzo Visco ci ha messo il carico da undici, annunciando che il nuovo esecutivo aumenterà tutte le tasse a tutti, e così il premier si è presentato a Montecitorio, dove lo attendeva il voto di fiducia, col coltello tra i denti.
Si è fermato in Transatlantico, circondato dai cronisti, e ha scandito scuro in volto: «I ministri non possono esprimere opinioni», devono limitarsi ad enunciare le «decisioni» prese collettivamente. Una vera e propria sfuriata via agenzie: «Abbiamo detto la serietà al governo, che vuol dire lavorare a testa bassa e parlare solo quando è stata presa una decisione». La squadra di governo, riconosce il presidente del Consiglio, ha decisamente bisogno di «un collaudo», per arrivare ad «assumere una filosofia comune». E «ci si arriverà», promette: «Il ruolo del ministro deve essere compreso nella sua luce, cioè come un membro di una squadra, che deve soprattutto operare e mettere in atto delle azioni, ed è diverso dal ruolo di un parlamentare». Basta blaterare a vanvera, dunque: per farlo entrare nella testa dei suoi, il premier si accinge a chiuderli tutti in conclave in Umbria, dal 4 al 6 giugno: «Ne discuteremo lì, e lavoreremo proprio sulla strategia comune del governo». Nel frattempo, è lintimazione ai ministri, «testa bassa e pedalare».
Lidea del seminario (le riunione conventuali sono da sempre la sua passione, da Gargonza in poi) Prodi laveva già lanciata nel primo Consiglio dei ministri, il 17 maggio scorso. Lallegra anarchia della sua compagine governativa ha rafforzato la sua convinzione: «Basta primedonne - si è sfogato in questi giorni - qui ci vuole un codice di comportamento, altrimenti rischiamo di dare unimmagine sbagliata del nostro lavoro». Il vicepremier DAlema si unisce nel bacchettare i colleghi: «Troppi protagonismi, speriamo si tratti solo dellentusiasmo iniziale», sospira.
Naturalmente, i primi a dar ragione a Prodi sono i più loquaci esponenti del governo, a cominciare dallesordiente Alessandro Bianchi (Pdci), responsabile dei Trasporti, che prima ancora di giurare aveva già abbattuto il ponte di Messina e subito dopo si era azzuffato con Antonio Di Pietro sulle rispettive competenze: «Il presidente del Consiglio ha chiesto la massima riservatezza. Quindi, obbedisco», annuncia. Al massimo, avverte i giornalisti, «potete chiedermi quanti anni ho o qual è il mio ristorante preferito». Però Bianchi non è così convinto di aver meritato quella tirata dorecchi: «Non capisco cosa abbia detto di non corretto. Ho riletto le dichiarazioni di ieri, mi sembravano buone, corrette». In ogni caso, «da lunedì mi insedierò al ministero e vedremo. Comunque, ho espresso delle opinioni, ora me le tengo per me». Approvano anche Pecoraro e Di Pietro, Mastella e Fioroni. Il radicale Capezzone invita lUnione a «voltare pagina: finora, abbiamo assistito a risse di potere, indicazioni programmatiche vaghe nei giorni pari e contraddittorie in quelli dispari, e la mancanza di un respiro riformatore, di una visione».
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