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Prodi in Giappone diventa militarista

Il premier vende 5 elicotteri Agusta, offre altre armi e al governo nipponico dice: «L’Italia non andrà via dall’Afghanistan»

da Roma

I tempi non sono più quelli dell’Asse e del Patto Tripartito, ma il presidente del Consiglio, Romano Prodi, nel corso della sua visita ufficiale in Giappone ha trovato il modo di rafforzare la collaborazione tra Roma e Tokio. Ma se nel 1940 ne andava dell’ordine mondiale, nel 2007 il premier italiano ha più prosaicamente colto l’occasione del suo tour nipponico per «dare un aiutino» all’industria aerospaziale italiana, cioè a Finmeccanica. Che ieri ha firmato un contratto con il ministero della Difesa per la costruzione in licenza di 5 elicotteri Agusta A 109 per le forze di polizia del Paese asiatico.
Lo stesso colloquio tra Prodi e il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, si è concentrato sulle possibilità di espandere la collaborazione nel settore della difesa. «Le forze nipponiche - ha detto Abe - importano vari tipi di equipaggiamento e tecnologie dall’Italia. Noi intendiamo continuare con tali acquisti ogni volta che sia necessario». Insomma, il Professore ha «sponsorizzato» la validità dell’offerta italiana nel settore militare e la partecipazione del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, alla missione del premier è un segnale eloquente del carattere promozionale della visita.
Il discorso, però, non si è limitato al solo rafforzamento della partnership commerciale, ma anche di politica estera a 360 gradi. Sulla questione Afghanistan Prodi ha sorpreso la platea. Mentre il suo collega nipponico ripeteva che il Giappone non avrebbe partecipato alle squadre di ricostruzione della Nato continuando la cooperazione esterna, il Professore si esibiva in uno dei suoi proclami. «Confermo che l’Italia ha deciso di rimanere con il proprio contingente in Afghanistan» ampliando contemporaneamente «il contributo all’aiuto civile», ha dichiarato.
Il presidente del Consiglio, anzi, ha voluto rimarcare che «questa è la linea dell’Italia e non vi è alcuna modifica prevista». Proseguire sulla linea del peacekeeping militare come fondamento per la ricostruzione dell’Afghanistan è tuttavia un rischio politico sul fronte interno. Si tratta del tema che ha costretto il premier a rassegnare le dimissioni nello scorso febbraio e che ha visto i senatori a vita contribuire al raggiungimento della maggioranza lo scorso marzo sul decreto di rifinanziamento.
E come se non bastasse giovedì scorso quattro senatori di Rifondazione (Giannini, Martone, Menapace e Del Roio) hanno presentato un’interrogazione al ministro della Difesa Parisi chiedendo spiegazioni sull’invio di cinque elicotteri Mangusta «dotati di armi d’attacco» in Afghanistan e sulla coerenza di questi mezzi con le regole d’ingaggio.

Un Prodi «militarista» come quello osservato a Tokyo potrebbe essere richiamato alla realtà dalla sua traballante maggioranza al ritorno a Roma.

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