Prodi insiste sul costo del lavoro: lo abbasserò ma non vi dico come

Guido Mattioni

da Milano

Insiste, Romano Prodi. Insiste sul taglio di cinque punti del cuneo fiscale qualora dovesse tornare a Palazzo Chigi. Insiste anche se sembra non sapere dove reperire i 10 miliardi di euro necessari per finanziare la drastica sforbiciata. A precisa domanda (postagli da Radio 24), non risponde. Si limita ad annunciare che «in proposito uscirà un messaggio chiaro e analitico. Abbiamo fatto tutti i conti. È una somma assolutamente alla nostra portata», ribadisce con tono dapprima sicuro. Ma poi, incalzato sul «come fare», dilaziona la risposta: «Esito ancora un po’ perché vorrei capire quali conti ci lascia questo governo. Sono infatti preoccupato perché non sta uscendo la trimestrale di cassa. Quando uscirà saprò dire quanti soldini avrò a disposizione». Una cautela, la sua, su cui Pier Ferdinando Casini ironizza a Porta a Porta: «Evidentemente Prodi è in difficoltà, non sa dove trovare le risorse».
Il problema dei «soldini» sembra preoccupare meno Piero Fassino, che in un’intervista all’Espresso non solo ribadisce l’intenzione di fare quel taglio, ma la inserisce in quella che annuncia come una «terapia choc» nei primi 100 giorni di governo. E non basta. Aggiunge che le richieste di Confindustria, cioè l’abbattimento del cuneo di ben 10 punti in cinque anni, «non sono proposte incompatibili, ci si può ragionare». E quasi a lanciare un’ulteriore sponda al vertice di Viale dell’Astronomia, Fassino afferma che «se Montezemolo dice una cosa che converge con ciò che dico io non significa che si è iscritto ai Ds, ma che c’è una convergenza su obiettivi comuni che possiamo praticare insieme».
Sarà stata l’aria di Milano. Ma sia Prodi sia Fassino, ieri in tournée ambrosiana per una serie di incontri pubblici, fanno un vero tuffo nell’economia. Vestendo entrambi, in mattinata, i panni degli esperti di innovazione tecnologica in un convegno alla Camera del Lavoro. E il solo Prodi, più tardi, partecipando su invito di Cesare Romiti a una colazione di lavoro della Fondazione Italia-Cina dedicata ai rapporti economici e commerciali tra il nostro Paese e l’ex Celeste Impero.
Con curiosi scambi di ruoli. Perché se il segretario dei Ds, alla Camera del lavoro, fa sfoggio di una rapida immersione nel gergo bocconiano, finendo per far stramazzare l’attonita base della Cgil (e non solo quella) sotto una raffica di termini quali «spin off», «start up» e «gap formativo», quasi fosse lui «il Professore», Prodi è rimasto invece di più nei panni politici di leader dell’opposizione.
Prima reagendo stizzito alle battute sulla mole del suo programma: «Basta con le ironie. Ricerca e innovazione sono l’ennesimo caso in cui leggendo le 280 pagine si vede che c’è un programma. Che serve e ci sta servendo per farci coalizione di governo, cosa che avverrà presto», vaticina in modo ottimista. Poi rilanciando «il ruolo della ricerca pubblica, umiliata in questi anni da commissariamenti di stampo clientelare, ma sostanzialmente - va giù duro - di tipo mafioso».

Infine, lancia anche lui un ramoscello d’ulivo a Confindustria, di cui sarà ospite oggi in un convegno a Vicenza. «Ho passato 40 anni a studiare le piccole e medie industrie - sorride pacioso -. Lì mi sento a casa mia».

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