Roma - È un «no», ma soprattutto uno schiaffo: la presidenza del Consiglio ha prodotto «una lesione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione». Con una delibera pubblicata il 29 ottobre, la Corte dei conti ha bocciato con questa motivazione due decreti del premier Romano Prodi per creare un nuovo dipartimento a palazzo Chigi. La decisione dei giudici contabili è contenuta in nove pagine che si chiudono con un rifiuto: la Corte non concede «il visto», e dunque la pubblicazione dei due decreti, del presidente del Consiglio.
Nella delibera si definiscono quei provvedimenti per creare l’ufficio «contraddittori e incoerenti», a rischio di spese aggiuntive per lo Stato. E soprattutto non in linea con il principio costituzionale della «semplicità, della speditezza, dell’economicità». Contrari, si può dire con linguaggio meno tecnico, al rigore nella spesa e nella burocrazia tanto rivendicato dai politici in questi mesi di processo alla «casta». Nonostante le buone intenzioni, Palazzo Chigi stava creando una struttura inutile anche per la Corte dei conti.
L’«unità di coordinamento interdipartimentale» che non ha passato l’esame dei giudici di viale Mazzini avrebbe fatto capo all’ufficio del segretario generale della presidenza, che riveste già un grande ruolo di coordinamento nel palazzo del governo. Il dipartimento bocciato sarebbe stato un coordinamento del coordinamento? Sembra domandarselo anche la Corte dei conti: «Vari elementi di incoerenza e di contraddittorietà si appalesano dal provvedimento in esame», riflettono i giudici.
Si legge sul sito della presidenza del Consiglio a proposito dell’ufficio del segretario generale che questa struttura, oltre a sostenere il lavoro del segretario (il professor Carlo Malinconico), si occupa dell’attività di «impulso, coordinamento e di raccordo organizzativo tra le strutture della presidenza del Consiglio dei ministri». Il primo giugno, però, con due decreti (ovviamente non pubblicati), Prodi costituì una sovrastruttura, con il compito di assicurare «unitarietà di azione» nelle attività «di supporto logistico, organizzativo e strumentale».
Un compito oscuro anche per la magistratura contabile. Ecco cosa dice la Corte: «Appare arduo ravvisare tali esigenze - è scritto nella delibera in riferimento alle spiegazioni fornite da palazzo Chigi -. È del tutto incoerente creare un dipartimento di coordinamento per lo svolgimento di funzioni a carattere meramente esecutivo, di raccordo e manutentorio».
Rappresentanti della presidenza del Consiglio hanno spiegato ai giudici contabili che non si trattava «di istituire un superdipartimento, bensì una struttura operativa di modeste dimensioni». Non era super, ma piuttosto un dipartimento senza senso, risponde però la Corte dei conti: l’«incoerenza» si «evidenzia ulteriormente», viene sottolineato nella sentenza, dal momento che questa struttura, a parte un responsabile, non avrebbe avuto «alcuna competenza dirigenziale». In conclusione, la magistratura contabile «deve rilevare nella fattispecie una lesione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione». «L’inosservanza» delle regole di «semplicità, speditezza, economicità», si aggiunge, come si è «evidenziato» nel caso «dell’unità interdipartimentale in questione», determina «una deviazione dell’atto dalla propria funzione istituzionale».
Ma non è finita: la documentazione fornita da Palazzo Chigi «si presenta carente - si legge - di fronte agli oneri derivanti dall’istituzione di un’unità interdipartimentale». E «non sono stati forniti elementi» che «nella circostanza assicurino l’invariazione della spesa». Un dipartimento inutile e probabilmente costoso. La Corte respinge.
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