Prodi, una metamorfosi per sopravvivere

È stato costretto a spostarsi a sinistra. E Bertinotti esulta

Prodi, una metamorfosi per sopravvivere

Stefano Filippi

Il cachemire no, a quello Romano Prodi non ci arriverà, neppure al mezzo toscano nell’angolo della bocca, alla erre moscia o agli occhialini appesi al collo: l’ex premier insiste con lenti gigantesche appollaiate sul naso. Non sarà mai il dandy della sinistra. Per il resto, la trasformazione è completata. Prodinotti. Il pacato professore di economia industriale, il placido ex democristiano bolognese, la gioia dei vignettisti che lo dipingono una volta come la mortadella dal volto umano e l’altra da parroco di campagna, è un’altra persona. Non riesce a liberarsi del tono predicatorio, del noioso borbottio da sacrestia, ma i suoi temi politici e il linguaggio incendiario sono ormai quelli dei girotondini. Andavano di moda qualche anno fa. Adesso che Nanni Moretti è sprofondato nel silenzio e Sergio Cofferati è diventato un sindaco proibizionista, è improvvisamente spuntato Prodi a dire qualcosa di sinistra.
Non è stata una metamorfosi kafkiana, Prodi non si è svegliato un bel mattino come Gregor Samsa tramutato in coleottero. È stato un cambiamento repentino ma meditato. Bisognava capirlo dalle parole del suo braccio destro Giulio Santagata, l’uomo che ha inventato prima il pullman e poi il Tir elettorale, che 15 giorni fa aveva annunciato un bel repulisti tra i manager pubblici nominati dal centrodestra. «Faremo prigionieri», frase poco elegante ma efficace soprattutto in bocca a un mite come il factotum elettorale del Professore. La campagna elettorale si avvicina e le primarie hanno imposto una svolta allo stile di Prodi, massacrato un mese fa a Cernobbio nel confronto con Silvio Berlusconi che aveva sancito l’incapacità di comunicare. Il fair-play del premier l’ha frastornato, l’incalzare di Bertinotti l’ha preoccupato, le modifiche alla legge elettorale l’hanno innervosito.
E allora giù con gli attacchi personali, via la maschera e avanti con la scimitarra, «il livore e gli insulti» come ha detto il ministro Carlo Giovanardi. Le durissime parole di ieri durante il programma tv «Markette» sono soltanto le ultime. «No, non mi faccia delle domande post moderne - ha risposto a un Piero Chiambretti in tonaca che gli chiedeva se Berlusconi sia l’erede di De Gasperi o don Sturzo -: leggendo le lettere di De Gasperi ce n’è una che mi ha impressionato, quella in cui confonde milioni con miliardi, il che vuol dire che proprio non rubava». E più tardi a un comizio a Torino ha spiegato che la ricchezza di Berlusconi «fa impressione perché non è una ricchezza generica ma è una ricchezza su settori che incidono sulla vita politica del Paese».
A fine settembre aveva tuonato che la nuova legge elettorale «violenta lo spirito e la lettera della democrazia». Qualche giorno dopo ha definito la legge finanziaria «infame e selettiva, concepita per colpire la sinistra». Quando il governo ha emanato un decreto che conferma l’esenzione Ici per tutti gli immobili ecclesiastici, ha accusato «una maggioranza all’affannosa ricerca di voti».
Il Riformista non ha fatto in tempo a intonare un alleluia per la promessa prodiana di lasciare le truppe italiane in Afghanistan che il Professore ha annunciato un calendario per ritirare i soldati dall’Irak. L’ex premier ha attaccato il presidente della Camera paragonandolo a un eversore ed è giunto a prendersela perfino con il capo dello Stato, «umiliato assieme a tutti gli altri organi di garanzia» dalla riforma della devoluzione. Fino all’apoteosi di domenica a Roma, in piazza del Popolo. Governo «inetto», «arrogante», «disastroso»; presidente del Consiglio «inadeguato» e che promuove solo leggi «per salvare se stesso e i suoi amici dalla giustizia»; devoluzione «sciagurata», finanziaria «irresponsabile e classista», riforma elettorale che «tradisce la volontà popolare», politica estera «ridotta a incontri conviviali nei ranch, nelle dacie, nelle sfarzose ville private fortificate con i nostri soldi»: e il velenoso accenno alla villa di Berlusconi in Sardegna fa scrosciare l’applauso più lungo dell’intero comizio.
Ma Prodinotti non ha soltanto cambiato stile, tono, argomenti. Nel suo progressivo spostamento a sinistra ha anche tagliato il cordone ombelicale con la gerarchia ecclesiale. Lui, che fu sposato da don Camillo Ruini, aveva già fatto sapere che si considera un «cattolico adulto», cioè dalle mani libere sulle questioni morali. E in questi giorni, mentre il Papa ripete che la fede non è un sentimento privato e che bandire Dio dalla vita pubblica è ipocrita, Prodi sottolinea il «dovere di autonomia» del politico e rilancia le proposte sulle coppie di fatto, tanto che l’Arcigay lo annovera tra i candidati alle primarie più aperti alle istanze degli omosessuali.
Bertinotti ha capito tutto e sogghigna: «Posso dire che Prodi ha assunto alcuni dei nostri temi e che la contaminazione ha funzionato - ha dichiarato l’altro giorno al Messaggero -. Uno scambio fecondo. L’ho sentito parlare di governo classista e politica di classe».

Il quotidiano francese Libération ha salutato Prodi come «eroe della sinistra». Clemente Mastella si è invece augurato che il Professore «non sposti troppo a sinistra l’asse della coalizione». Ma il subcomandante Romano tirerà dritto per la sua nuova strada.

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