Adalberto Signore
da Roma
È più duna settimana che Romano Prodi lo va ripetendo ai suoi uomini più fidati. Da quando cioè al Senato la Casa delle libertà è arrivata a un passo dal mettere sotto la maggioranza sul decreto per il riordino delle attribuzioni di Palazzo Chigi (il cosiddetto «spacchettamento» dei ministeri). Il regolamento di Palazzo Madama, infatti, prevede che su istanza di un decimo dei senatori si possa chiedere la conferma dellAula sui presupposti di costituzionalità già «vistati» dalla commissione Affari costituzionali. E così è stato. Con un primo voto «tecnico» richiesto da An che è finito 157 a 157 e con quello sul merito che è passato sul filo di lana: 158 a 156, con il «sì» determinante di tre senatori a vita (Emilio Colombo, Rita Levi Montalcini e Oscar Luigi Scalfaro). Un episodio che ha preoccupato non poco Prodi, ben consapevole che a Palazzo Madama i numeri restano strettissimi. Pure con qualche aggravante, visto che oltre alla difficoltà di chiedere ai senatori a vita una loro costante presenza in Aula si sta affacciando in questi ultimi giorni anche il problema dei senatori eletti allestero che, ritrovatisi di colpo ago della bilancia, sono costretti in quel di Roma molto più di quanto avessero immaginato. E pare se ne lamentino con una certa insistenza.
Così, il presidente del Consiglio ha deciso di correre ai ripari. E ha già iniziato a catechizzare alcuni ministri. In primo luogo, «meno disegni di legge». E, soprattutto, ha ripetuto più volte, «la ricerca della più larga convergenza possibile deve essere maniacale». Poi, «è inevitabile» che «saremo spesso costretti ad andare avanti ponendo la fiducia». Una strategia che prenderà corpo già dalla prossima settimana, quando martedì - alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa per la campagna referendaria - arriveranno al Senato i primi due voti di fiducia.
Si inizia proprio dal decreto sullo «spacchettamento». Insomma, dopo aver ridistribuito le competenze di molti ministeri e averne creati di nuovi per soddisfare le legittime esigenze di tutti i partiti della maggioranza - come avviene in occasione della formazione di qualsiasi governo - quella stessa maggioranza si trova ora a porre la fiducia proprio sul provvedimento che formalizza di fatto la nascita del nuovo esecutivo. Senza peraltro più avere la giustificazione di voler evitare lostruzionismo dellopposizione che, «per togliere allUnione ogni alibi», ha deciso di ritirare buona parte degli oltre 400 emendamenti che aveva presentato (ne restano 56, di cui dieci dei Verdi e quattro di Rifondazione comunista). Sempre martedì il Senato sarà chiamato a votare la fiducia su un altro decreto, il cosiddetto «milleproroghe». Che, peraltro, arriva dal governo Berlusconi. Anche qui il numero degli emendamenti è più che esiguo, eppure la maggioranza preferisce blindarsi perché, spiegano nellUnione, «i due provvedimenti sono in scadenza il 12 e il 17 luglio e il margine per farli approvare anche alla Camera è strettissimo».
Non ancora calendarizzati ma molto probabili sono almeno altri tre voti di fiducia. Innanzitutto quello sul disegno di legge che proroga lordinamento giudiziario (il provvedimento che di fatto blocca la riforma Castelli), perché anche qui, secondo il Guardasigilli Clemente Mastella, il passaggio al Senato potrebbe riservare sorprese. Peraltro - viste le forti pressioni dellAssociazione nazionale magistrati - nelle ultime ore più di un esponente della maggioranza ha ipotizzato di inserire alcune delle norme sullordinamento giudiziario già nel «milleproroghe». Scontata, poi, la fiducia sulla manovra correttiva di luglio mentre per quanto riguarda il rifinanziamento delle missioni militari italiane allestero il discorso pare più articolato. Se Prodi non dovesse riuscire a trovare quella larga convergenza che cerca sullAfghanistan, infatti, porre la fiducia significherebbe solo mettere a rischio il governo.
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