Una vicenda che per certi versi ricorda i «mal di pancia» dell’ex titolare del Viminale Beppe Pisanu quando a maggio dello scorso anno apprese dai giornali delle intercettazioni tra lui e Luciano Moggi nell’inchiesta napoletana su Calciopoli. In quella occasione fu il Nucleo operativo dei carabinieri di Roma, che trattava direttamente con la Procura di Napoli, a omettere di segnalare ai vertici dell’Arma l’esistenza di quelle chiacchierate tra il ministro e l’ex ds bianconero.
E il malumore del ministro dell’Interno si ripercosse anche nei corridoi di viale Romania. Tremarono molte poltrone, ma non saltarono teste.
Stavolta, invece, la testa di De Gennaro starebbe per rotolare nel cesto anche per una presunta scorrettezza istituzionale verso un esecutivo che di problemi, di immagine e non solo, ne ha un bel po’. Se di questa presunta ritorsione parlano ormai tutti come di una verità non detta per «ragion di Stato», ci si interroga su quello che nello specifico sarebbe un retroscena del retroscena Sircana-De Gennaro. Se è vero, infatti, che per ovvi motivi di legalità De Gennaro non avrebbe dovuto (e potuto) informare Palazzo Chigi dell’indagine in corso, considerando che Sircana era parte lesa, non è da escludere che una mezza parola per prepararsi all’eventuale temporale, almeno al suo ministro di riferimento, Giuliano Amato, sarebbe stata gradita. Il problema è tutto qui: c’è da capire se la comunicazione effettivamente non è mai partita o se invece si è interrotta lungo la scala gerarchica che portava al premier. In parole più semplici, la domanda è: Amato era stato informato da De Gennaro? E se lo era stato, perché Prodi non lo ha saputo per tempo?
Altro caso singolarissimo dell’affaire De Gennaro è la sincronia, stupefacente, tra il siluramento in diretta parlamentare da parte di Romano Prodi e la divulgazione, qualche ora dopo, della notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati del capo della polizia rimosso «in pectore». La tempistica è perfetta: Prodi prende le distanze da De Gennaro poco prima che questi finisca pubblicamente coinvolto nell’inchiesta sul G8 di Genova. Da parte loro i magistrati liguri si risparmiano l’ingrato compito di aggiungere un elemento di imbarazzo istituzionale al governo Prodi.
L’accelerazione improvvisa quanto imprevista rischia di vanificare le aspettative di De Gennaro, a cui anche nelle ultime ore era stata garantita un’uscita di scena onorevole. Saltata l’opportunità di lasciare i vertici della Polizia per gestire la sicurezza dei campionati europei di calcio (assegnati a Polonia e Ucraina), persa la chance di coordinare i servizi di sicurezza secondo il nuovo ordinamento, «Dick Tracy» sembrava comunque destinato a un incarico di prestigio. Ma la doppia bastonata dell’altra sera suona come una condanna per le sue ambizioni. Resta da capire se anche la squadra di De Gennaro, a cominciare dal suo delfino Antonio Manganelli, patirà l’ostracismo verso il capo. Sul nome del vicario, ancora in cima alla rosa dei papabili, la condivisione è però pressoché unanime. La sinistra radicale punta piuttosto a estendere il defenestramento del capo della polizia agli altri dirigenti considerati «responsabili» dei fatti di Genova. Come dimostra anche la reiterata richiesta di istituire una commissione parlamentare sugli incidenti del G8.
Ma non si esclude che anche per la successione di De Gennaro alla fine possa spuntarla un outsider.
Come il casertano Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione e libertà civili, già responsabile dei Vigili del Fuoco. È davvero lui l’uomo giusto per spegnere le polemiche? Una cosa è certa. Se, come suggeriscono Berlusconi, Cossiga e La Russa, potrebbero arrivare «ricambi» anche ai vertici dei carabinieri, niente fermerà l’incendio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.