Prodi non tiri la giacca a Ciampi

Prodi non tiri la giacca a Ciampi

Francesco Cossiga

È con preoccupazione che sento crearsi un clima molto simile a quello che molti anni fa mi fu dato di conoscere. È il clima di violento scontro e di delegittimazione dell’avversario che l’Italia visse ai tempi dell’approvazione della così detta «legge truffa», della legge di ratifica del Trattato del Nord Atlantico e della ratifica del trattato di adesione alle Comunità Europee. La sinistra dell’area «democratica progressiva» si opponeva decisamente a queste leggi, in Parlamento e nelle piazze, come a leggi anticostituzionali nella sostanza e nella procedura d’approvazione. Alla base dell’«eccezione di incostituzionalità» vi era l’affermazione basata sul «mito fondante» della Costituzione, il «mito» dell’«unità democratica antifascista» che aveva dato vita alla Costituzione del 1948 e a quel «patto politico istituzionale» della «consensualità» tra le grandi forze politiche democratiche antifasciste della Resistenza, diventato la «norma fondante e regolatrice» del funzionamento delle istituzioni e massimamente del Parlamento. Non dimentichiamo che sempre più si è andato affermando in questi tempi nello spirito «continuista», il principio della «consensualità democratica», detto oggi delle «larghe convergenze». Si tratta di una filosofia politica che nega il semplice principio maggioritario, l’antica regola su cui si basava e si basa la democrazia rappresentativa e parlamentare di tipo anglosassone. Oggi circola di nuovo l'aria, putroppo, della «necessità politico istituzionale delle ampie convergenze» ed è in questa prospettiva che si deve valutare il commento di Romano Prodi all’approvazione alla Camera dei Deputati delle legge elettorale proporzionale, dichiarazione nella quale egli afferma che essa sarebbe viziata da gravissimi dubbi di incostituzionalità. Questa dichiarazione conferma l’atteggiamento intransigente di denuncia di incostituzionalità, perfino nelle normali procedure parlamentari di votazione alla Camera e culminata con la non partecipazione del centrosinistra - Margherita compresa! - al voto finale sulla legge. Tutto questo non può non porre seri problemi in relazione alla futura fase della vita politica ed istituzionale del Paese. Il Presidente della Repubblica - attraverso questo atteggiamento - viene pesantemente chiamato in causa, imprudentemente ed impropriamente. Ne viene infatti richiesto, non tanto implicitamente, l’intervento «repressivo» nella forma o del rinvio della legge al Parlamento, o addirittura del rifiuto assoluto di promulgazione per «grave rottura dalla Costituzione», come in via di principio sarebbe pienamente legittimo.
Come ho già più volte detto e scritto, con il rispetto dovuto al mio successore al Quirinale, persona di grandissima sensibilità istituzionale, mi chiedo se, giunti a questo punto, per evitare il costituirsi di gravi situazioni di contrasto tra le due parti politiche del Paese, non sia il caso che il Presidente della Repubblica convochi in una specie di «conferenza istituzionale» il leader, o i rispettivi leader, della maggioranza e dell’opposizione, per un esame della situazione e per una sorta di mediazione, che faccia sì che venga approvato un testo, se non dalla opposizione condiviso, almeno dalla stessa eventualmente contestato dal punto di vista politico, ma non così radicalmente dal punto di vista della costituzionalità. Personalmente, a mio sommesso avviso, vi erano maggiori dubbi di legittimità costituzionale rispetto al mattarellum, in quanto all’impianto della Costituzione del 1948, a bel considerare, è omogeneo soltanto un sistema elettorale proporzionale.
E se, in assenza dell’invocato intervento del Capo dello Stato, ci fosse, ad elezioni svolte con la nuova legge, un intervento della Corte Costituzionale che negasse la legittimità costituzionale della riforma elettorale? Sarebbe un disastro! Si immagini una Corte Costituzionale, la cui natura non solo in Italia ma in tutto il mondo è discussa, una Corte che pencola fra il giurisdizionale ed il politico (percepita dalla gente come un organo elitario e aristocratico) prendere una decisione del genere. Si tratterebbe di un atto «quasi-eversivo», perché da un suo eventuale giudizio di illegittimità costituzionale della legge elettorale - ad elezioni svolte - seguirebbe un «annullamento» della legge e quindi la decadenza ex iure del Parlamento, del Presidente della Repubblica che esso avesse eletto e del Governo: una specie di colpo di Stato legale!
Sono stato rimproverato per avere invitato il Presidente della Repubblica a convocare i capi della maggioranza e dell’opposizione. Il mio non è stato né un invito né una proposta, perché sia un invito sia una proposta sarebbero legittimati a farla, non certo io, ma il leader o i leader della maggioranza e dell’opposizione, in forma riservata, o anche pubblicamente, dichiarando la loro disponibilità a rispondere affermativamente ad una eventuale convocazione del Capo dello Stato. Ho ritenuto quale ex-capo dello Stato di suggerire una strada che possa evitare le gravi conseguenze che, in maniera destabilizzante sul futuro Parlamento, sul Governo che esso esprimerà e sul Presidente della Repubblica che andrà ad eleggere, comporta quel grave dubbio di incostituzionalità denunciato dall’opposizione con la sua condotta parlamentare e dal suo leader Prodi.
Oltre al confronto in una «conferenza istituzionale» convocata dal Presidente della Repubblica, ho rivolto un responsabile invito a Berlusconi e Prodi a confrontarsi in Senato. Ove questo non fosse possibile o fallisse, penso che sarebbe saggio e prudente che l’opposizione rinunciasse al Senato a non partecipare alla votazione finale. Ma è possibile un confronto fra maggioranza ed opposizione al Senato? Temo di no e mi chiedo pertanto se un ultimo tentativo per scongiurare che una «fosca e pesante nube di incostituzionalità» gravi sul prossimo Parlamento nazionale, sul Presidente della Repubblica che eleggerà e sul Governo che andrà ad esprimere, non possa essere costituito da un sereno, coraggioso ed imparziale rinvio «quasi tecnico» della legge da parte del Capo dello Stato, con un messaggio nel quale, anche in forma dubitativa, siano esposti i motivi di incostituzionalità, ed anche i motivi di «grave inopportunità politico-istituzionale» denunciati dall’opposizione e ribaditi dal suo leader Romano Prodi.

Potrebbe essere uno stimolo al confronto, o alla correzione della legge, ma soprattutto, una volta che la legge emendata o meno, fosse riapprovata dalle Camere, ed il Capo dello Stato non si rifiutasse di promulgarla, assai più leggera e trasparente, quasi una «nuvoletta rosa»! Sarebbe la «nuvola di incostituzionalità» che potrebbe gravare sulle future fasi della vita istituzionale e politica del Paese.

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