Francesco Damato
Mi convince sempre di meno questa storia di Prodi deciso a fare una lista unica dei cosiddetti riformisti senza la Margherita di Rutelli. Mi chiedo se il professore non abbia innestato astutamente la retromarcia per sfilarsi dalla corsa a Palazzo Chigi. Dove, visto ciò che sta accadendo in comuni e regioni appena conquistati dalla sinistra, egli rischia o di non potere arrivare o di esserne rapidamente estromesso, come già gli è accaduto in passato, da alleati indecisi a tutto. Ai quali non solo l'odiato Berlusconi o il meno odiato Follini, ma anche il compagno Epifani, segretario generale della Cgil, ha rimproverato l'assenza di uno straccio di programma di governo da proporre agli elettori, e poi da realizzare in caso di vittoria elettorale.
Solo i gonzi possono credere a quella specie di fiction che si sta girando da settimane nella «fabbrica» aperta a Bologna per preparare il programma da proporre poi ad un'assemblea di delegati dei partiti dell'Unione non ricordo più di chi e di che cosa, davanti al cui simbolo dipinto con i colori dell'arcobaleno ogni tanto Prodi annuncia catastrofi nazionali e promette di porvi rimedio senza poter mai spiegare come, con quali mezzi, con quali misure alternative a quelle del governo in carica.
Vi è una sproporzione tanto grande quanto sospetta fra la decisione presa dalla stragrande maggioranza della Margherita di concorrere da sola nelle elezioni dell'anno prossimo alla modesta quota proporzionale della Camera, nella speranza dichiarata di intercettare meglio i voti dei moderati che Rutelli prevede in uscita dal centrodestra, e la reazione scomposta di Prodi. Che, minacciando la lista unitaria dell'Ulivo «con chi ci sta ci sta», ha portato la Margherita sull'orlo della scissione e i Ds nella più totale confusione dietro il falso pannello della fiducia illimitata, o quasi, nell'attuale leader del fronte delle opposizioni.
«Sono sceso dal pentolone dove volevano cuocermi a fuoco lento», ha detto Prodi spiegando la sua rivolta contro la decisione della Margherita.
Ma con la dirompente ritorsione della lista unitaria «con chi ci sta ci sta» egli è saltato sulla graticola, essendo semplicemente impensabile a questo punto un passo indietro del partito di Rutelli. Che sarebbe costretto ad espellere Prodi e quanti altri con lui dovessero mettersi a contendergli voti e candidati.
«Dopo l'esperienza che ho fatto a Bruxelles mi possono passare sopra con un caterpillar», ha ancora detto il nostro, che mi ricorda la rana di Esopo, gonfiatasi per raggiungere le dimensioni del bue sino a scoppiare.
Il sospetto che Prodi le stia sparando grosse per «autodelegittimarsi nello scontro con la Margherita» e lasciare ad altri l'incombenza di fallire alla guida del governo in caso di vittoria elettorale circola non a torto anche tra i diessini del cosiddetto correntone.
Il cui quotidiano telematico Aprileonline ha già trasferito il professore dalla corsa a Palazzo Chigi a quella al Quirinale.
In effetti, una volta che per dissenso dalla mancata lista unitaria dell'Ulivo dovesse «coerentemente» rinunciare alla guida dell'Unione, smettendola di minacciare ritorsioni e di inchiodare i diessini ad una mediazione impossibile fra lui e Rutelli, egli potrebbe sperare di essere ripagato con la successione a Ciampi.
Sempre che naturalmente la sinistra vinca le elezioni. Saremmo ad una specie di versione emiliana della lucida follia di Amleto.
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