Prodi si arrende: «Verrò in Parlamento»

«Da Fausto non me l’aspettavo, evidentemente sta giocando una partita in proprio»

Laura Cesaretti

da Roma

«Qui tutti stanno cercando di mettermi in mezzo», si lamenta. «Da Fausto non me l’aspettavo, evidentemente si sta giocando una partita in proprio», si sfoga, o magari in triangolazione con «qualcun altro»: i silenzi e le battute di D’Alema e Marini, le iniziative di Bertinotti, i fantasmi del ’98 che si riaffacciano. È stata una nuova giornataccia, per il premier. Nemmeno il tempo di riprendersi dall’ennesimo cambio di fuso orario, dall’Asia all’America: la nuova tegola è arrivata a Romano Prodi ieri di primo mattino (ora di New York). Quando una telefonata di Bertinotti lo ha costretto ad una nuova conversione a «u»: «In Parlamento devi venirci tu, Romano, non puoi più tirarti indietro».
Prodi non era andato a dormire sereno, vista la situazione, ma almeno tranquillo che al suo ritorno in patria avrebbe già trovato liquidata la partita del dibattito parlamentare sul caso Telecom, con i partiti dell’Unione che - sia pur tra malumori e voci dissonanti - avevano deciso di metterci una pezza mandando in aula a Montecitorio il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni a prendersi le cannonate dell’opposizione. Invece Fausto Bertinotti si è messo di traverso, perché «in ballo c’è una questione di rispetto per il Parlamento e di cultura democratica». Che non può essere liquidata con un’asettica informativa «tecnica» del ministro di settore. I capigruppo dell’Ulivo e lo stesso ministro dei rapporti col Parlamento Chiti, che aveva lavorato per 48 ore alla mediazione, sono rimasti spiazzati ieri mattina, quando in conferenza dei capigruppo il presidente della Camera ha raccolto le proteste della Cdl e le sollecitazioni della Rosa nel pugno, secondo cui doveva essere Prodi a rispondere in aula, e ha riaperto la partita: «Visto che sia l’opposizione sia una parte della maggioranza pongono il problema, forse è il caso di consultare il premier per verificarne la disponibilità», ha detto Bertinotti, suggerendo di riaggiornare la riunione all’indomani. Per evitare «di tenere Prodi sulla graticola per un’altra giornata», Franceschini lo ha però invitato a chiudere la questione nel pomeriggio, e così è stato. Il primo a parlare con il premier è stato Bertinotti. Il quale ha usato i toni suadenti in cui è maestro, ma ha trovato all’altro capo del filo un Professore furibondo e scosso. Che all’inizio ha fatto resistenza, ribadendo i concetti che ripete da giorni: «È inutile che venga io, chiunque vada esprime la linea del governo. La Cdl vuol sollevare il polverone, attaccarmi personalmente, e io non accetto di farmi processare su una storia che non esiste, non e-si-ste, capito?».
Ma il leader Prc ha insistito: «Da un passaggio così importante e delicato non se ne esce se non vieni tu. È una faccenda troppo grossa, è finita sulle prime pagine del Financial Times e del Wall Street Journal, non puoi dire “io non vengo”». E poi, gli ha fatto notare, c’è anche un problema di «gestione dei rapporti con l’opposizione, che sulla Finanziaria può renderci la vita difficile». Bertinotti si è tolto anche un sassolino dalle scarpe, rimproverando al premier quell’uscita contro l’embargo delle armi alla Cina, «il programma dell’Unione dice l’esatto contrario». Il premier ha chiesto tempo, si è consultato con il ministro Chiti sulle date, poi ha richiamato Bertinotti, e ha annunciato la resa: «Verrò alla Camera», chiedendo però una dilazione: «Dopo la Finanziaria». Impraticabile: alla fine si è concordata la data del 28 settembre.
La mossa di Bertinotti ha irritato l’Ulivo: «Andava concordata, è ovvio che anche noi avremmo voluto subito Prodi in aula, ma si era trovata un’intesa di compromesso e lui l’ha mandata all’aria per farsi bello con la Cdl», ringhiano in casa ds. E ha colto di sorpresa anche i suoi.
Ma qualcuno la prevedeva, visto che fonti dalemiane già lunedì assicuravano che Bertinotti avrebbe insistito su Prodi. E il ds Gavino Angius ieri in conferenza dei capigruppo al Senato è stato durissimo: Prodi ha il «dovere» di chiarire.

Poco dopo è arrivato l’imprevisto scivolone della maggioranza nell’aula di Palazzo Madama: giovedì si discuterà di Telecom, probabilmente con Gentiloni. E siccome il regolamento del Senato prevede la possibilità di votare, e la Cdl lo chiederà, tocca mettere insieme in fretta e furia un documento «unitario» sull’affaire. «Sarà dura», sospirano nell’Unione.

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