A Prodi torna la paura della tv: «Non voglio andare a Mediaset»

Il leader dell’Unione: «Fanno vedere Berlusconi tutto bello e poi mi riprendono da dietro. Mi sento un gatto: graffio solo se provocato»

A Prodi torna la paura della tv: «Non voglio andare a Mediaset»

Roberto Scafuri

da Roma

Se per Nanni Moretti Berlusconi è caimano, Romano Prodi si balocca con i gatti, ma si vede piuttosto un «diesel». «Ho sempre avuto una passione per i gatti, stanno in giro, guardano, partecipano... E graffiano, sì, ma solo se provocati». Il Professore in questo periodo si sente provocato, eccome. Di fronte alle accuse rivoltegli dal premier, dice di «applicare un po’ di carità cristiana» e, dunque, «facciamo finta di non avere letto niente...». Ma sulla campagna elettorale del centrodestra, il leader dell’Unione smette fusa e soffia: «Vendevano sogni, ma hanno fallito. Adesso vendono paura e non stanno più ai fatti. Perciò non si riesce più a discutere con loro».
Più che gatto, un gattone che ha pronta negli stivali una riforma «profonda» del sistema televisivo, «cercando di arrivare a una vera concorrenza, altrimenti è tutto un gioco». Sul gozzo gli stanno, da tempo, anche «certi giochini» dei Tg di Mediaset, colpevoli di «cose straordinarie: fanno vedere Berlusconi tutto bello che parla e poi a me mi riprendono la testa da dietro o magari mentre dico a qualcuno di chiudere la porta...». Perciò il capo dell’Unione ha deciso che alle trasmissioni Mediaset non va: «Come si fa? Giochiamo fino a un certo punto ma se ci sono i media che ti trattano così si fa senza... Non ho tensioni né problemi con nessuno, Mentana è un grande giornalista, ma mi spiace: decido io dove andare». Prodi mette sull’avviso anche la Rai, perché «guardando i Tg uno si chiede se quello è il modo di presentare gli eventi che mi riguardano... Non sono soddisfatto, ma poi però uno non può sempre brontolare...».
Eppure brontola, il «diesel», e in tale vestigia si prepara al prossimo duello tv con Berlusconi, provocazioni comprese. Come reagirà? «Da diesel, andrò avanti... Non gli do mica la soddisfazione di uscire... Sto lì sereno, poi vediamo». Sereno, impertubabile, «sono stonato e non so ballare», si autorappresenta come anti-Cavaliere. «Dopo l’esperienza di Bruxelles, soprattutto con i giornalisti inglesi, anche se mi passano la grattugia sulla schiena non sento niente...», racconta. E teorizza: «La grinta non è fare la voce grossa, ma essere coerente».
Con grinta e coerenza, allora, ribadisce la difesa sul fronte fiscale. «Abbiamo già detto a tutti che non aumenteremo le tasse sui Bot e i Cct e che per le successioni la tassa sarà reintrodotta solo per le grandi fortune. Chi deve lasciare ai figli la casa o il negozio non deve avere paura», afferma. Aggiungendo poi che l’Unione si proporrà «una politica di armonizzazione del peso fiscale». Le risorse per tagliare il cuneo fiscale, insiste, «esistono». Uno dei modi per reperirle sarà rimettere sotto controllo la spesa pubblica «che è scappata di mano: in questi anni è stato sprecato il 2,6% del reddito nazionale nell’aumento delle spese pubbliche... Una cosa spaventosa, equivale al triplo dei dieci miliardi di cui abbiamo bisogno».
Con la grave crisi che il leader dell’Unione denuncia, l’operazione accusa margini di incertezza. Qualche mano avanti, il candidato premier, la mette: «Non bastano né Prodi né Berlusconi per uscire dalla crisi... Né un supereroe». Piuttosto, sostiene Prodi ricalcando tesi bertinottiane, «servono proposte che coinvolgano i cittadini». Occorre, cioè, «fare una curva a 180 gradi: il nuovo presidente del Consiglio dovrà fare una proposta che convinca i cittadini». Un tiriamoci su le maniche collettivo e convinto. Meno partecipative le previsioni sui prossimi assetti istituzionali: per la presidenza della Repubblica Prodi ricorda che «se ci sarà una larga intesa sul nome proposto dalla nuova maggioranza, bene, sarà una cosa molto bella. Sennò ci sarà un voto a maggioranza». Il Professore ritiene ormai impossibile concedere una delle due presidenze parlamentari all’opposizione. Sicuro sarà il ritorno a un sistema elettorale maggioritario, così come una legge sul conflitto di interessi «non punitiva, ma come quelle che hanno tutti i Paesi del mondo».

Tra le certezze dei primi cento giorni di un eventuale governo, il ritiro dall’Irak «in modo serio: dunque non immediato e arruffone, ma con i tempi e i modi necessari per salvaguardare la sicurezza dei cittadini». Si resterà in Afghanistan, invece, «ma riflettendo molto sulla situazione, ormai politicamente impressionante».

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