«Prof, andate in pensione o per l’università è la fine»

È il rettore uscente dell’università di Bologna, la più antica d’Europa. È stato critico verso la riforma Gelmini e i tagli alle università ma ora Pier Ugo Calzolari, docente di ingegneria elettronica, ora punta il dito contro i baroni over-settanta che non mollano la poltrona; contro l’esercito dei fine carriera, circa un migliaio in tutta Italia, che ha accantonato i libri per imbracciare l’arma del ricorso al Tar. Per salvaguardare il posto di lavoro fino all’ultimo giorno utile del settantaduesimo anno di età: in virtù di una proroga che fino a ora era praticamente un diritto acquisito ma che l’ultima Finanziaria permette di eliminare. Con un risparmio, per l’università bolognese, di 800mila euro.
Professor Calzolari, dunque anche lei lascerà la cattedra.
«Sì, il primo novembre prossimo. In realtà vado in pensione prima, perché per legge avrei avuto la possibilità di restare ancora per un anno».
E perché lo fa?
«Perché non vorrei lasciare dubbi sulla volontà che ho espresso in senato accademico. Voglio dare il buon esempio».
Ai suoi colleghi che non vogliono mollare la poltrona?
«Purtroppo sono in tanti a vopler continuare a insegnare. Un po’ li capisco. Quando si svolge questa professione si è spinti molto dalla passione».
Anche da interessi personali.
«La pensione di un professore a fine carriera si discosta di pochissimo dallo stipendio, quindi non ha senso arroccarsi alla cattedra per problemi di soldi. Inoltre, i colleghi impegnati in importanti attività di ricerca non rimarranno senza lavoro».
E come verranno recuperati?
«L’università stipulerà dei contratti per continuare il lavoro in sospeso».
Se tutti i baroni pensionandi non lasciassero il loro incarico addio ricambio generazionale.
«Già, e da noi, per esempio, l’età dei ricercatori non è bassissima. La media è di circa 45 anni».
E poi ci sono i problemi di bilancio da risolvere.
«Sì, le università sono al collasso. Con questo provvedimento possiamo invece risparmiare 4 milioni di euro nel 2010 e 11 milioni nel 2011».
Ma i ricorsi dei docenti potrebbero far saltare tutto.
«Per il momento abbiamo 15 ordinanze di sospensione che preludono una sentenza avversa. E nella nostra università ci sono 370 docenti che dovrebbero andare in pensione nei prossimi tre anni».
Come pensate di risolvere questo «fronte del no»?
«Con un ricorso al Consiglio di Stato. Spero che dia ragione al senato accademico che ha approvato all’unanimità la legge Tremonti».
Ma i docenti ribelli cosa contestano tecnicamente?
«Che non avremmo considerato la valutazione professionale dei singoli professori. In realtà questa valutazione ha senso se l’ateneo facesse delle preferenze. Invece noi abbiamo applicato in forma rigorosa la legge».
Che dice esattamente?
«È data alle amministrazioni la facoltà di prolungare di due anni l’incarico dei docenti sulla base delle proprie esigenze e sulla base delle caratteristiche del richiedente. Ma questa facoltà noi non l’abbiamo data a nessuno».
Perché?
«C’erano delle esigenze prioritarie: la stabilità del bilancio e la conservazione di un minimo di apertura per i giovani ricercatori».
Così non avete fatto preferenze.
«Esattamente.

Ma ci sono piovuti i ricorsi così come in molti atenei in tutta Italia. A questo punto mi auguro che il ministro intervenga. C’è molta preoccupazione per quanto può accadere se i giudici dessero torto alle università. Sarebbe il tracollo finanziario».

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