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Il Prof arruola i leader contro la Germania

Monti pranza con Alfano, Bersani e Casini: mozione congiunta contro lo strapotere tedesco in vista del vertice Ue

Il Prof arruola i leader contro la Germania

Roma - Monti si affida all’ABC, acronimo per Alfano, Bersani e Casini, per far la guerra alla Germania: arruolati nel corso di un pranzo durato quasi tre ore a palazzo Chigi. «Incontro molto positivo», dirà poi il Professore che mette Alfano alla sua destra, Bersani alla sinistra e Casini al centro, di fronte. Quasi a replicare il collocamento parlamentare. Sul tavolo la carta di una mozione congiunta, approvata dalla maggioranza più ampia possibile, nella quale in poche parole si chiede di contenere lo strapotere tedesco in ambito Ue. Monti vuole più muscoli per sbattere i famosi «pugni sul tavolo» e far valere le ragioni dell’Italia, pur senza arretrare di un millimetro sui «necessari compiti a casa». L’obiettivo: arrivare al summit europeo di fine mese con alle spalle un voto quasi unanime del Parlamento per chiedere, parole di Casini, «un risanamento sostenibile, con una forte sponda europea, nuove regole di governance».
Alfano si siede al tavolo: «Parlo anche a nome di Berlusconi che ho appena sentito» e sciorina il sostegno pieno nella battaglia contro frau Angela anche se poi pubblicamente frena: «Mozione comune? Vedremo», dice. Ma sono dei distinguo più di facciata per non provocare troppi mal di pancia agli «anti-tecnici» che si annidano ancora nel partito. Scettici «in sonno» che si appisolano principalmente tra gli ex An ma non solo e potrebbero magari non presentarsi quando la mozione arriverà in Aula, il 24 o il 25 gennaio. A lavorare al documento comune ci sarà l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini per il Pdl e Sandro Gozi per il Pd. Se poi il risultato finale otterrà anche il «sì» da altre forze, tanto meglio. Ma Di Pietro è scettico: «Un testo unitario? Difficile».
Il ragionamento di Monti è il seguente: l’Europa trainata solo da Berlino non funziona; la speculazione non si ferma con il solo rigore di bilancio; se l’eurozona non cresce gli sforzi fatti non solo saranno insostenibili ma soprattutto inutili; i sistemi di firewall per difendersi dalla speculazione non sono sufficienti e vanno ampliati e accelerati. Durante il summit Monti non nasconde che «la situazione è grave, gravissima». L’ingiusto declassamento dell’agenzia di rating Standard & Poor’s che ci sbatte in serie B rischia di avere effetti devastanti: difficoltà a rifinanziare il debito e necessità di trovare altri quattrini. Insomma, teme il baratro e occorre reagire.
Tutti d’accordo: così non va. Ecco quindi l’appoggio preventivo a un testo che dovrebbe permettere al premier di dire alla Merkel: «Cara Angela, io i compiti li sto facendo; ma adesso li devi fare tu». E i suoi sono cedere su eurobond e ruolo della Bce. Ovviamente si sta studiano il modo per mettere nero su bianco questi capitoli anche se le mozioni già esistenti di Pd e Pdl sono di fatto sovrapponibili.
Identità di vedute. I nodi riguardano lo scetticismo del Pd di mettere nero su bianco un riconoscimento al precedente governo Berlusconi, come piacerebbe al Pdl. Ma alla fine si arriverà a una formula che Casini svela così: «Continuità istituzionale: la politica che l’Italia deve sostenere in Europa è l’insieme delle politiche portate avanti dai governi che hanno preceduto l’esecutivo di Monti». Sul fronte Pdl, invece, c’è la necessità di non mischiarsi troppo a Bersani. Tanto che Alfano, in serata, mette i puntini sulle «i»: «Questa non è una maggioranza politica. Siamo pronti a sederci insieme agli altri partiti se si tratta di Italia ed Europa, ma quando si entra nel merito dei provvedimenti, tra Pdl e Pd vengono fuori le differenze». Esempio? Il Pd vorrebbe insistere sulla Tobin Tax, il Pdl molto meno. Probabilmente verrà citato ma non si scenderà nel dettaglio.
L’altro alleato Monti ce l’ha nelle istituzioni europee, di cui è figlioccio. E l’elogio è arrivato dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, ieri a Roma: «Impressionante quello che avete fatto».

E il premier, nel rispondere, si toglie il sassolino dalla scarpa graffiando l’Europa che parla troppo tedesco: «S&P ravvisa l’insufficienza della governance dell’eurozona».

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