La lezione è alle 15, ma il «professor» Fiorenzo Magni, 92 anni a dicembre, si presenta con largo anticipo. La vita in bicicletta gli ha insegnato che non si arriva in ritardo, perché è sempre una corsa contro il tempo. Che bisogna giungere al traguardo o dai ragazzi del master in Sport Management e Marketing dell'università Bicocca, in fondo è uguale. Il Leone delle Fiandre, titolo guadagnato sulla strada dopo aver trionfato per tre volte consecutive sui terribili «muri» belgi, sale in cattedra con umiltà e dimestichezza. Le stesse doti con cui montava in sella, accanto a dei come Bartali e Coppi. «I più grandi che il ciclismo abbia mai avuto», racconta colui che era considerato «il terzo incomodo», perché a differenza degli altri del gruppo il colpo di strappare la vittoria al Ginaccio e al Campionissimo gli riusciva ogni tanto.
«Loro due mi hanno insegnato la cosa più importante nella vita: imparare a perdere. Ero inferiore. Per capirlo bastava dare un'occhiata alla gente ai lati della strada. L'Italia era divisa in due e i cartelli o erano per Bartali o per Coppi. Infatti non sono qui a parlarvi di me, ma di loro». Campione anche di modestia, Magni. Perché per ben tre volte fu lui ad arrivare al Vigorelli con la maglia rosa sulle spalle, tra le grida della folla. Memorabile l'impresa del 1955: «Nencini era in testa alla classifica e si correva la penultima tappa, da Trento a San Pellegrino Terme. Tutti pensavano che ormai avesse vinto il Giro. Ma io dovevo inventarmi qualcosa, non potevo arrendermi. Così andai in fuga e mi trascinai dietro Coppi. Nencini ci raggiunse, ma bucò. Io tirai da solo per 70 chilometri, con Fausto a succhiarmi la ruota. Gli lasciai la vittoria di tappa e io mi presi la maglia rosa per soli 11 secondi».
Storie di pedalate, ma anche di amicizia. «Con Coppi eravamo quasi coetanei. Parlava poco, ma potevi capirlo dai gesti. Per esempio, quando era in difficoltà si inzuppava d'acqua dalla testa ai piedi. Bartali invece non aveva mai sete o fame, né sentiva il freddo o il caldo. Però quando era in crisi inclinava un po' la gamba destra. Era un uomo di chiesa, ricordo che prima della Milano-Sanremo andava sempre a messa alle 6 del mattino. Nel 1950 partimmo per l'Argentina con le nostre mogli, fu una vacanza indimenticabile. Mi manca tanto la sua vis polemica».
Pillole di ricordi in bianco e nero. Ma Magni ha tante lezioni di vita da regalare ai giovani d'oggi. «Mio nonno mi disse: Terra e mattoni non tradiscono mai. E io ho cominciato a investire i soldi vinti nelle corse in terreni e case». Così il campione dalle umili origini divenne presto imprenditore, grazie a una mente anni luce più avanti dei suoi tempi. Non è un caso che fu proprio lui a introdurre le sponsorizzazioni nel ciclismo, con la Nivea nel 1953. «Ma oggi si pensa troppo ai soldi», dice con un pizzico di rammarico. Lui che al Tour de France del 1950 si ritirò con la maglia gialla addosso per solidarietà con Bartali, pesantemente preso di mira dai francesi. «Mi offrirono 200mila franchi per continuare, un bel gruzzolo, ma l'onore di un italiano non si compra». Un rimpianto? «No, io non ho rimpianti. Quando vinci è perché devi vincere, quando perdi è perché devi perdere».
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