Il Prof si arrende sulle pensioni, i sindacati esultano

Il premier costretto a escludere l’ipotesi di disincentivi per chi vuole lasciare il lavoro prima del tempo

da Roma

Dalla sala dello Stenditoio sventola la bandiera bianca. Sulla riforma delle pensioni Romano Prodi s’arrende ai sindacati e all’ala sinistra della maggioranza: nessun disincentivo per andare a riposo prima dei sessant’anni, ma soltanto incentivi per restare al lavoro. È esattamente quanto prevede la proposta-ultimatum di Cgil-Cisl-Uil, appoggiata da Rifondazione, comunisti italiani e verdi.
«Perché disincentivi? Se il nostro obiettivo è che si resti al lavoro, bisogna offrire incentivi a chi rimane», afferma candidamente il presidente del Consiglio, in uno dei passaggi chiave della conferenza stampa di fine anno. E dice ancora: «Nessuna drammatizzazione, nessun tormentone, nessuno sciopero. Gli italiani stiano tranquilli perché la riforma grossa, corposa, delle pensioni l’abbiamo già fatta con Amato, con Dini e col mio precedente governo: adesso dobbiamo affinare il sistema, adattandolo ai mutamenti demografici». E comunque, aggiunge, tutto sarà deciso insieme con i sindacati, con gli imprenditori, con la coalizione. «Programmi di questo genere - osserva - non si fanno mai imponendosi, perché poi mancano i risultati. Vogliamo creare convenienze per una maggiore flessibilità di scelta nell’età per andare in pensione».
Dunque, è resa. Prodi non nomina lo «scalone Maroni», vero obiettivo degli strali sindacali e delle nuove norme che il ministro Cesare Damiano discuterà con le parti sociali a partire dalle prossime settimane. Ma è ormai chiaro che lo scalone - cioè il passaggio da 57 a 60 anni, con 35 di contributi, dell’età minima per la pensione d’anzianità a partire dal 1° gennaio 2008 - salterà. Sostituito da soli incentivi a restare al lavoro, e non da disincentivi ai pensionamenti anticipati. Il premier non si sorprende dell’aumento delle richieste di pensione d’anzianità registrato nei primi dieci mesi di quest’anno (+28,8%), fenomeno che deriva da «inquietudine e incertezza» che serpeggia fra la gente. E conferma d’aver chiesto alla Confindustria di riflettere su «schemi di lavoro part time», per uscire senza traumi dall’attività, verso il pensionamento.
Incentivi e disincentivi, lo dice apertamente l’Inps, fanno risparmiare assai poco. Ma quel che conta è il segnale politico. Plausi immediati e fragorosi alle parole di Prodi arrivano dal sindacato e dalla sinistra radicale. «Ci fa piacere che il presidente del Consiglio abbia smentito l’ipotesi di disincentivare l’uscita dal lavoro appena maturati i requisiti per la pensione», commenta il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, che sulle pensioni aveva fatto balenare la minaccia dello sciopero generale. «Le dichiarazioni di Prodi sono condivisibili - fa eco il segretario della Uil, Luigi Angeletti -: bisogna ragionare solo di incentivi». La Cgil da atto al premier di «aver smentito efficacemente» le voci dei giorni scorsi, ma avverte che non accetterà revisioni dei coefficienti del sistema contributivo, perché «ridurrebbero le pensioni dei più giovani». La Confindustria è pronta a discutere apertamente di pensioni, a una condizione: «Qualunque riforma - dice il direttore generale Maurizio Beretta - non deve appesantire i conti pubblici».
La sinistra radicale esulta. Oliviero Diliberto, Giovanni Russo Spena, Paolo Ferrero, Gennaro Migliore, tutti esprimono soddisfazione per le parole del premier. Il solo rosapugnista Daniele Capezzone si sarebbe aspettato «più coraggio» dal governo sulle pensioni.

Ma che sia l’appeasement nei confronti del sindacato la caratteristica del negoziato previdenziale è ormai chiaro. «Qualunque riforma non farà che peggiorare la nostra», commenta amaro l’ex ministro Roberto Maroni. «La cosiddetta sinistra riformista - aggiunge Adolfo Urso (An) - è ormai all’ultima spiaggia».

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