Prof. Vettel: «Ragazzi, quanti serpenti in F1»

MilanoIl professor Vettel arriva puntuale e con indosso un sorriso che mette subito a proprio agio gli studenti. Il professor Vettel non sa dove sedersi tanto è grande l’aula numero sei del Politecnico di Milano, zona Bovisa. La tentazione forte e comprensibile, visti i suoi ventun anni, è quella di sedersi fra i banchi con i coetanei, ma una mano professorale gli fa cenno di no.
Il professor Sebastian Vettel sale in cattedra poco dopo le 10 e trenta, davanti a centinaia di futuri ingegneri, maschi e femminucce, tutti motoristicamente in adorazione e tutti muniti di ferali quesiti. Il professore guida una Redbull e ha ricevuto diversi titoli «accademici»: trattasi infatti del più giovane pilota a debuttare in F1, il più giovane a conquistare una pole, il più giovane a vincere un Gp (lo scorso settembre, a Monza). Come docente s’è dato un doppio obiettivo: prima vuole accattivarsi le simpatie («in Brasile ho superato Hamilton e Glock, ho fatto il possibile per far vincere la Ferrari» scherza e non scherza), poi cerca d’insegnare ai ragazzi l’arte difficile del non montarsi la testa. «La prima cosa che devi fare è portare rispetto ai colleghi, a chi c’è già. Dopo di che, devi dare il massimo. Io non credo di essere il migliore, ma credo in me: per cui l’obiettivo è solo far bene».
C’è anche chi osa mancare di rispetto al professore, chi taglia corto e usa il tu: ciao Sebastian - dice - lo sai che non vedo l’ora di vederti vestito tutto di rosso? «La Ferrari? Ci spero, un giorno, chissà...». Il professore è giovane ma la formula uno t’invecchia perché costringe a giocare con la vita. Sarà per questa consapevolezza che il prof. lo dice con il cuore, lo dice per far capire ai giovani tutt’attorno che non si facciano illusioni, una volta abbandonati i banchi saranno gioie ma anche dolori. «Ragazzi, volete sapere com’è l’ambiente in F1? Diciamo che se vuoi un amico, allora è meglio che ti porti dietro il cane...». È una metafora della vita. «Io sto attento - aggiunge - perché le corse sono un grande business, girano molti soldi, devi fare in fretta a capire qual è la strada che vuoi percorrere e come sono le persone che hai intorno. Io ho fatto e faccio così: «Valuto come sono, le analizzo, mi dico questo è leale, questo no perché, credetemi, in F1 ci sono tanti serpenti. Quanto a noi piloti siamo come voi studenti: c’è un rapporto, magari non siamo tutti amici, magari uno ti sta più o meno simpatico, ma senza odiare nessuno».
La lezione passa al capitolo “non mollare mai”. «Quando provai per la prima volta una F1, appena frenai, non vidi la pista, bensì le mie cinture di sicurezza rosse. La decelerazione era stata incredibile... Dopo pochi chilometri mi dissi “no, caro Seba, la F1 non fa per te... sarai un buon pilota di F3, di gare turismo, ma nulla più. Perché qui è tutto troppo veloce, questo tipo di competizione non ti appartiene...”. Rimasi choccato, ma per fortuna, dopo una ventina di giri, le cose cominciarono ad andare meglio».
Gli occhi degli studenti sono lucidi di voglia di motori e sensazioni e velocità, sono tutti esperti, tutti preparati, c’è chi per tesi progetta monoposto e componenti, chi l’aerodinamica, chi le sospensioni. C’è eccitazione e il professor Vettel lo capisce al volo.

Forse per questo gli basta un là per dare il via alla lezione a cui più tiene: «Io sulle strade normali non vado mai veloce, mi sento molto più sicuro in pista dove non rischio di vedermi passare davanti un pedone, dove non ci sono auto che sfrecciano nell’altro senso, dove tutto, il bene e il male, la cosa giusta e l’errore dipendono solo e soltanto da me.... non da altri. Ragazzi, datemi retta, se volete stupire la vostra ragazza non fatelo con l’acceleratore, regalatele invece dei fiori».

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