Il progetto perde un pezzo e il tribunale resta in centro

CONSEGNA L’edificio di 12mila metri quadrati sarà pronto per la primavera del 2011

Dodicimila metri quadrati, all’angolo tra via Pace e via San Barnaba. È questo il Palazzo-bis che sta sorgendo, con i pilastri che da pochi giorni stanno iniziando ad alzarsi, a ridosso del vecchio palazzo di giustizia. E mentre si innalzano quei pilastri si allontana fin quasi a sparire l’idea rivoluzionaria di una grande Cittadella della giustizia sull’area di Porto di Mare, a Rogoredo, un grande complesso che radunasse tutti gli uffici giudiziari milanesi e un nuovo carcere, restituendo alla città l’area di San Vittore e aprendo un nuovo futuro al vecchio tribunale di epoca fascista. È un progetto che ha affascinato molti, ma che ha sempre incontrato anche parecchie resistenze. E il partito del «no» sembra ormai destinato a prendere il sopravvento.
Il progetto della Cittadella nasceva sulla spinta di due esigenze e di una opportunità. L’opportunità era il volano dell’Expo. Le esigenze erano: da una parte archiviare finalmente un carcere invivibile come San Vittore, e dall’altro rispondere alle esigenze sempre maggiori di spazio della giustizia milanese, accorpando tutte queste funzioni in una unica area, all’interno dei confini urbani, servita da strade e mezzi pubblici. Un progetto dai grandi numeri - un milione di metri quadrati, grossomodo un miliardo di euro di costi - ma destinato a rivoluzionare il rapporto tra la città e la macchina giudiziaria, spostando robusti flussi di traffico fuori dal centro, offrendo una sistemazione dignitosa ai detenuti, razionalizzando la vita quotidiana delle aule dei processi, radunando funzioni giudiziarie - come il tribunale dei minori, il giudice di pace, la giustizia amministrativa - oggi sparpagliate per la città.
Ma la stessa grandezza del progetto ha reso il suo cammino faticoso. E mentre i tempi della Cittadella si allungavano, crescevano le pressioni per la chiusura di San Vittore: da ultimo, dopo le dure parole dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi all’uscita dalla sua ultima visita alla prigione di piazza Filangieri («sconcertato», «squallore intollerabile»). Così ha preso forza la corrente di pensiero secondo cui Milano ha bisogno urgente di un nuovo carcere senza aspettare che il sogno della Cittadella diventi realtà. Le strade di tribunale e carcere si sono rapidamente separate. E a sancire la separazione è stato, pochi giorni prima di Natale l’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli, che pure era stato fin dall’inizio il principale sostenitore dell’idea della Cittadella. A questo punto, come ribadisce e spiega anche nell’intervista qui sotto, Masseroli dice: partiamo col nuovo carcere, il resto si vedrà.
In realtà, a questo punto è verosimile ipotizzare che da corso di Porta Vittoria il palazzo di giustizia non se ne andrà più. Se viene a mancare il traino reciproco tra il trasloco del carcere e quello del tribunale, la soluzione più realistica è che un nuovo carcere prima o poi, da qualche parte (a Rogoredo, come vorrebbe Masseroli, o altrove) si faccia. E che invece la giustizia continui a essere amministrata nel mastodonte di marmo bianco progettato nel 1930 dall’architetto Marcello Piacentini, e in una serie di satelliti più o meno vicini a esso. Come il Palazzo-bis che sta sorgendo in via San Barnaba, sull’area del vecchio parcheggio sterrato che per più di vent’anni aveva ospitato le auto di avvocati e magistrati.
Il nuovo edificio è stato progettato e finanziato in proprio dal Comune, porta la firma dell’architetto Carmelo Maugeri e sarà pronto nella primavera del prossimo anno. Dodicimila metri quadrati su quattro piani, uffici, aule, banca, bar, cento posti auto interrati, l’ipotesi di un collegamento pedonale protetto con il vecchio tribunale. Insomma, un Palazzo-bis a tutti gli effetti, in grado di offrire un’importante valvola di sfogo alla perenne fame di spazi della giustizia milanese. Tanto che alla destinazione originaria (doveva essere la nuova sede della Corte d’appello civile) sono destinate ad aggiungersene altre. E in prospettiva c’è già chi pensa a una sorta di divisione per materia: nella vecchia struttura resterebbe la giustizia penale, mentre la giustizia civile si sposterebbe progressivamente nel nuovo edificio. La separazione oltretutto permetterebbe di modulare diversamente le procedure di sicurezza: oggi chi entra a palazzo di giustizia per depositare un’istanza di divorzio è costretto alle stesse code ai metal detector di chi deve recarsi nelle aule dei processi antiterrorismo.
Certo, rimarrebbe sulla carta l’idea di riportare sotto un unico tetto anche la giustizia minorile e quella amministrativa. Ma i giudici minorili sembrano starsene abbastanza tranquilli in via Leopardi, in un palazzo d’epoca ristrutturato con una spesa fantasmagorica.

E i giudici del Tar, che devono abbandonare la vecchia sede di via Conservatorio, hanno già trovato una nuova sede in una vecchia ex scuola di via Corridoni, anch’essa a ridosso dell’intramontabile colosso piacentiniano.

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